Cosa succederebbe se la persona incaricata dei tagli di personale in una famosa azienda, soprannominata “il tagliateste”, iniziasse a tagliare veramente le teste di tutti coloro che licenzia?
E’ questa la trama del “Il cannibale“, il nuovo romanzo di Tom Hofland pubblicato da Carbonio Editori. All’interno delle riserva del Veluwe (Paesi Bassi) si trova la sede di una grossa industria farmaceutica, specializzata nella produzione di rivestimenti di capsule. Un ambiente lavorativo spersonalizzato, asettico e quasi irreale, nel quale Lute è colui a cui viene dato l’ingrato compito di ridurre i costi. Questa responsabilità fa sprofondare il protagonista in una profonda crisi personale, poiché consapevole di non poter adempiere a questo incarico. E’ proprio questo motivo a indurlo ad accettare l’aiuto di Lombard, un tagliatore di teste professionista.
A ispirare lo scrittore è stato un episodio avvenuto nella grande azienda in cui lavorava precedentemente: in un ambiente privato totalmente di ogni relazione umana, i licenziamenti erano così brutali che hanno portato diversi colleghi e amici dello scrittore al pianto. “Erano conversazioni horror, quasi quanto il mio libro”, ha ironizzato lo scrittore. Ciò ha portato Hofland a pensare che fosse ipocrita la tesi secondo cui “il mondo lavorativo e personale non debbano entrare in contatto”: essi sono strettamente legati. In un mondo lavorativo che ci vuole efficienti, produttivi e apatici non c’è posto per le emozioni. Lo scrittore esaspera questo concetto a tal punto che, dopo che Lute vede la prima uccisione, al posto di denunciare si rifiuta di vedere e tende a considerare l’evento normale. Il protagonista chiude gli occhi davanti al male perché accettarlo vorrebbe dire avere il dovere di agire, di proteggere i suoi dipendenti e lui sa di non poterci riuscire. Sono queste, per lo scrittore, le armi del capitalismo. Il suo libro è quindi un atto di protesta nei confronti del cinismo aziendale e una spinta a migliorare la propria empatia interpersonale.
