Entriamo alla Fondazione Sandretto verso le 18.00 del 9 maggio, mentre la sala della mostra inizia a riempirsi. All’evento del Salone Off veniamo subito accolte da Daniela Finocchi direttrice, nonché fondatrice di Lingua Madre, progetto che da vent’anni si impegna nel riservare uno spazio alle donne straniere e in alcuni casi migranti; ci racconta l’evoluzione del concorso letterario che ogni anno raccoglie le storie e le esperienze di donne da tutti i paesi del mondo. “L’immigrazione viene sempre affrontata come un problema emergenziale, anche se non lo è più. Non si considera abbastanza l’aspetto culturale che invece riveste un ruolo fondamentale, soprattutto quando le protagoniste sono le donne’’. Considerando questo aspetto, è cambiato il modo di rappresentarsi e sentirsi rappresentate, da ciò il titolo della mostra: “Donne non più straniere”.
In questa ‘evoluzione’, dal 2009, è coinvolta anche la Fondazione Sandretto, che ha proposto di aprire una sezione del premio dedicata alla fotografia. La vincitrice di quest’anno è Marta Valls. La sua foto rappresenta una bambina seduta per terra che tiene in mano una lettera, ma è la storia dietro all’immagine ‘Alina’s letter’, che all’autrice preme di più: una storia drammatica, ma allo stesso tempo piena di speranza. La foto rimanda a dei racconti fatti all’autrice, grazie ai quali ha scoperto che nel 1946 la Croce Rossa aveva organizzato dei campi di accoglienza per i sopravvissuti alla Shoah. Questi testimoni hanno condiviso una riflessione che ha immediatamente toccato l’autrice: la mancanza di documenti, simboli di identità, ha tolto loro la prospettiva di un futuro.
Abbiamo invece avuto uno sguardo sul presente con Man Azadam e Sonia Canu, rispettivamente provenienti dall’Iran e dall’Italia, con la loro foto ‘Parole libere’. Questa si concentra sul concetto di casa, in particolare quella di Man, che attraverso i media assiste agli eventi che sconvolgono il suo paese. Da questi nascono il racconto, scritto con l’amica Sonia, e la foto la stessa che fa da sfondo alla locandina dell’evento. Il cartello, soggetto della foto, non è un grido di protesta, ma un’affermazione di identità, del diritto di esistere e appartenere: “Se anche solo un essere umano deve lottare per la libertà, ognuno di noi si deve sentire obbligato ad alzare quel cartello”.
L’evento, concluso con un piacevole rinfresco, ha offerto l’opportunità di incontrare le autrici anche fuori dall’occasione formale.