Cronache

La più grande storia dei nostri tempi


Gaia Buono, Liceo "L. Ariosto"


È forse più semplice e rassicurante parlare di cambiamento climatico tra persone interessate all’argomento, come in una sorta di innocente autocelebrazione, quando la sfida fondamentale è comunicare l’emergenza a chi ancora non la vede?
Questo è uno dei tanti quesiti sorti durante la conferenza dal titolo La storia più grande dei nostri tempi dove gli stessi relatori, moderati dal giornalista Stefano Liberti, si sono trovati a riflettere sul tema di questo incontro. Maria Teresa Salvati, esperta di fotografia, Rossella Ferrarelli, architetta, e Giancarlo Sturloni, responsabile delle comunicazioni per Greenpeace, si sono confrontati alle 18:00 nell’Ex Teatro Verdi a Ferrara, nella prima giornata del Festival di Internazionale 2021.

Il problema dei cambiamenti climatici è forse il più complesso da comunicare, in quanto incontra ostacoli cognitivi nei destinatari. Il cambiamento climatico viene definito da Stefano Liberti un “iperoggetto”. Noi spesso non ci rendiamo conto che quello che succede negli altri paesi dipende ed è condizionato dalle nostre azioni; è difficile immaginare che tutto sia connesso. Uno dei problemi della comunicazione del rischio attuale sono i dati, freddi ed impersonali, che trasmessi all’opinione pubblica senza tante spiegazioni e dai quali non possiamo trarre alcuna vicinanza emotiva.

Maria Teresa Salvati pone l’accento sul problema della prossimità della sofferenza: “Se non ho un problema vicino, non sono motivato a cambiare il mio stile di vita”. C’è quindi un problema di percezione del rischio alla base delle difficoltà nel comunicare l’emergenza. Il climate change viene percepito come distante nello spazio e nel tempo, come una calamità di portata troppo grande per noi. “Manca un approccio emotivo,” continua Salvati, “ci sono delle soluzioni visive a questo.” Il progetto fotografico di Maria Teresa Salvati Everything is connected, si pone l’obiettivo di trovare un nuovo paradigma di divulgazione interdisciplinare dei cambiamenti climatici, una mostra fotografica per dimostrare come scienza e arte necessitano l’una dell’altra per una comunicazione efficace.
“La politica si nutre di consenso sociale, quindi se riusciamo a smuovere le coscienze dei cittadini, anche la politica sarà costretta a cambiare. Certo, non è facile cambiare un modello che esiste da decenni in pochi anni. Ma lo abbiamo visto con la pandemia che la politica, se vuole, può cambiare: come quando ci ha fatto capire che le mascherine servono per proteggere noi stessi e gli altri dal virus, così può seguire una rivoluzione verde.”

“L’arte funge da decodificatore di un messaggio ampio, anche e soprattutto per coloro che non sono interessati.” afferma Maria Teresa Salvati, spiegando come le città e gli spazi pubblici possono e devono diventare palcoscenici della divulgazione scientifica, con mostre permanenti, installazioni, immagini.
Cruciale, poi, è l’intervento alla radice: fare divulgazione nelle scuole. Partendo dai bambini, compiere un progetto di alfabetizzazione alla crisi climatica, per cambiare lo stile di vita insostenibile che ora stiamo adottando prima che sorga il problema. Gli strumenti della didattica sono molteplici, dagli orti scolastici alla raccolta differenziata, e la città può e deve svolgere un ruolo fondamentale in questo processo.

L’architetta Rossella Ferrarelli spiega come le città siano sistemi complessi e articolati, ed è difficile cogliere quale ruolo la città e il singolo dentro di essa svolgono nel cambiamento del clima. Gli ambiti nei quali le città impattano sul clima sono la gestione dei rifiuti, l’inquinamento atmosferico e la conversione energetica, ed il problema principale è la lentezza delle città a cambiare. Molte città, in Italia e nel mondo, si stanno attivando per accelerare questo cambiamento, contando sulla partecipazione dei singoli cittadini. La politica, aggiunge Liberti, deve cambiare in questo senso: non più concentrandosi sull’impatto immediato e sui consensi, ma guardando oltre, guardando al futuro.

Con l’avvento di Internet, il dibattito sui cambiamenti del clima si è spostato da una ristretta cerchia di scienziati alla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Giancarlo Sturloni spiega che sta avvenendo un fenomeno definito greenwashing, una strategia che tende ad mascherare come ecosostenibile qualunque cosa, e questo rende difficile trovare immagini nuove per una “comunicazione d’impatto”.

La fotografia dell’orso polare che osserva preoccupato l’acqua dei mari del Nord dal suo piccolissimo iceberg ormai è inflazionato a tal punto da non suscitare più emozioni.

“Ora c’è bisogno di mostrare persone vere, di cambiare la narrazione magari con elementi ironici e provocatori,” aggiunge Maria Teresa Salvati, “come quell’immagine dei due sposi in quello che dovrebbe essere il giorno più felice della loro vita, circondati da un paesaggio allagato e distrutto dagli alluvioni. Non bisogna però spaventare, e quindi generare un rifiuto nell’osservatore. Inoltre è necessario insieme al problema  presentare la soluzione.” Sturloni presenta un punto cruciale: “Non c’è una “ricetta” universale, la comunicazione è tattica se si modella in base al pubblico.”

Giancarlo Sturloni presenta una grande contraddizione del mondo moderno: “L’azienda che in Italia investe maggiormente in comunicazione è l’Eni. Un’azienda petrolifera che investe ogni anno 10 milioni di euro per parlare di ambiente, pagando le pubblicità che poi finiscono sui maggiori giornali italiani, giornali che oggi come oggi senza le pubblicità chiuderebbero. Lunedì Greenpeace lancerà una petizione per vietare le pubblicità delle aziende inquinanti, come quelle petrolifere, delle loro cosiddette soluzioni verdi, che dovrà arrivare ad 1 milione di firme.” Sturloni precisa che ci sono molte realtà le quali senza i cospicui finanziamenti di aziende come Eni sarebbero costrette a chiudere. “Ma quando arriviamo a parlare di responsabilità, dobbiamo chiederci: chi produce la plastica che tutti i giorni utilizziamo nella maggior parte degli oggetti? Di che cosa è fatta questa plastica? La risposta è una, combustibili fossili. L’80% del nostro mondo va a combustibili fossili.” Per cambiare fare una vera inversione di marcia, dobbiamo cambiare il nostro mondo, cambiare il sistema, e in tempi brevissimi. “L’obiettivo attuale è quello di una crescita infinita, ma con quale modello economico pensiamo di perseguire una crescita infinita in un mondo finito?”

Sturloni conclude il suo intervento con parole dure: “Dobbiamo sbrigarci non nel giro di qualche anno ma adesso. Questa è una sfida che forse potremmo non vincere. Ma almeno dobbiamo provarci, questa è la forza che mi fa andare avanti.”

 

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