Cronache, Salone del libro 2021

Cinema che cura l’anima


Alessia Ferraris, Francesco Fraccascia, Liceo Classico Alfieri


“La vita addosso. Io, il cinema e tutto il resto”, Gabriele Muccino, regista pluripremiato, presenta la sua autobiografia.

Il libro nasce da un’intervista in cui un critico cinematografico gli aveva aspramente criticato un suo film in corsa alla Mostra del Cinema di Venezia. Si rende conto che c’era una vita nascosta dietro ai suoi film che non aveva mai raccontato.

Il cinema lo “masticava” in casa perché sua madre era costumista, ma la decisione di voler fare il regista nella vita la matura in adolescenza: era molto balbuziente, non riusciva nemmeno a pronunciare il suo nome e da questa crisi di identità nasce la necessità di raccontare storie sul grande schermo. Il suo sogno di bambino era in realtà di fare il veterinario. All’età di 18 anni durante una recita scolastica scopre di voler entrare nel mondo del cinema come regista, mestiere che gli ha permesso di risolversi interiormente grazie al suo potere assoluto nell’ambito della produzione cinematografica. 

Durante la conferenza ha raccontato diverse e pittoresche esperienze e incontri con attori celebri. 

Ogni capitolo del libro è un suo film e possiamo dire che buona parte di esso sia occupato dalla sua lunga esperienza americana. Di quel periodo Muccino ricorda i pranzi a casa di attori come Will Smith, le telefonate dalle Bahamas con Sean Connery, e quella con Al Pacino a New York. Nonostante queste premesse da sogno, descrive il periodo negli States come complicato, a causa della negativa organizzazione cinematografica hollywoodiana: “Tanta gente che ti illude di voler aderire al tuo progetto ma poi all’ultimo si tira indietro per mancanza di fondi”, ricordando ad esempio la volta in cui i produttori del suo film “Padri e figli” avevano ritenuto troppo alto l’ingaggio di centomila dollari per Stevie Wonder, che avrebbe dovuto cantare un suo brano originale nei titoli di coda. 

L’ultimo capitolo, invece, raccoglie tutti i film che non ha potuto dirigere, e confessa di essersi pentito di non aver realizzato “Passengers”, che ha poi avuto molto successo. 

Da Gabriele Muccino bisognerebbe imparare a non prendersi mai troppo sul serio, a ridere delle nostre difficoltà che, nel suo caso, non sono state altro che la spinta per poter fare del suo lavoro anche un modo per comprendersi e acetarsi. E ci è riuscito. 

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