Cronache, Salone del libro 2021

Svevo


Pietro Fiocchi e Sara Rocchietti, Liceo Alfieri


Alle 10.30 in Sala Blu, si è potuto assistere a un interessante confronto tra il presente e il Novecento. Mauro Covacich ha recitato un monologo teatrale interamente dedicato al grandissimo scrittore Italo Svevo, articolato in tre fasi: città, coscienza e lingua. Posta questa divisione, l’attore ha proceduto con l’analisi del territorio attorno a cui ruota la vita dello scrittore triestino. Schmitz è un ragazzo ebreo figlio di madre italiana e padre tedesco, che lo manda a studiare in Baviera. Dopo questo periodo, torna a Trieste e si iscrive a un istituto di studi superiori commerciali, senza ricevere la formazione classica-umanistica che contraddistingueva gli scrittori dell’epoca. In Italo non c’è alcuna contraddizione tra l’essere un cittadino austriaco e lo scrivere in lingua italiana. Infatti il lembo d’Europa in cui vive è un punto di fusione di due universi culturali: quello slavo continentale che irrompe da nord-est e quello mediterraneo, contrassegnato dalla cultura latina e greca, con cui si scontra e si fonde.

Svevo sviluppa un’amicizia letteraria con James Joyce: non si incontrarono mai per ragioni umanistiche ma professionali. L’occasione che permise loro di incontrarsi fu il desiderio di Svevo di imparare l’inglese, poiché la ditta veneziana dove lavorava stava aprendo una succursale nei pressi di Londra. L’amicizia fu molto solida ma mai troppo intima, infatti non si diedero mai del tu. Nel 1926, mentre si trovava a Milano con la moglie per un viaggio di piacere, Svevo incontrò  Eugenio Montale, che ricorda il disagio provato dal triestino nel parlare di letteratura. Covacich narra di questi due aneddoti per spiegare al meglio come Svevo sentisse stretti i panni del maestro di lettere indossati da pochi mesi e di come invece preferisse parlare di idrocarburi o di chimica -proprio come Primo Levi-.

La seconda parte del monologo era incentrata sulla coscienza. Dopo il fiasco di Senilità, Svevo decise di ritirarsi dal campo della letteratura e impedì a se stesso di scrivere, arrivando addirittura a studiare il violino. Quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, entrò in contatto con le opere di Sigmund Freud. Nonostante queste letture, Italo rimase sempre scettico riguardo al funzionamento della psicoanalisi che però influenzò profondamente la propria opera successiva. Infatti nel 1923 Svevo si rimise allo scrittoio e compose La coscienza di Zeno: testo incentrato sull’io autobiografico, in cui il paziente Zeno scrive un resoconto della sua vita per il proprio medico. Due aspetti caratterizzano questo libro: il fatto che sia strutturato per temi e che il tempo sia distorto, “malato”, come il paziente che lo percepisce.

Infine è stato trattato il tema della lingua. In conclusione del libro Zeno spiega perché ha smesso di curarsi, affermando che la nostra vita avrebbe un altro aspetto se fosse espressa in dialetto triestino, lingua franca transnazionale con la quale ci si capiva anche in Istria e Dalmazia. Lo scrittore sudafricano Coetzee, vincitore del Nobel per la Letteratura nel 2003, ha constatato la somiglianza del nome del protagonista dell’opera con il termine greco ξένος che significa straniero, proprio a indicare il fatto che Svevo scrive nella lingua italiana, ma la pratica come se fosse straniera.

Covacich nella recitazione del proprio monologo è stato a dir poco magistrale, tenendo incollato il pubblico per tutta la durata dell’incontro.

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