Un libro tante scuole

L’emozione di diventare grandi.


Thomas Biocca, classe 4Q


Una cosa che ti ha colpito

Procida, sono gli anni Trenta del secolo scorso e Arturo Gerace prende vita nella Casa dei Guaglioni. Arturo è un ragazzo “selvaggio”: se così si può dire, un vero e proprio guappo. Passerà tutta la sua infanzia sull’isola nell’eterna attesa del ritorno del padre che, ai suoi occhi, risplende ogni volta come un eroe cavalleresco. Per Arturo non sarà sempre tutta una passeggiata all’acqua di rose perché, ad un certo punto, con l’arrivo della “sposina” cambia tutto. Nunziatella, la giovanissima sposa del padre (quasi coetanea di Arturo) farà battere, non poco, il cuore al giovane Gerace. Questo è il primissimo passaggio di crescita che Arturo dimostra.

L’Amalfitano
Però… facciamo un passettino indietro: la crescita di Arturo è affidata al balio Silvestro e alla cagna Immacolatella, che sono gli unici esseri viventi con cui intratterrà dei rapporti per tutta la sua infanzia (oltre al padre, che incontrerà però in modo molto occasionale).
Il balio era pagato da Wilhelm, che non era mai sull’isola perché sempre impegnato in viaggi che lo tenevano lontano; del resto, i Gerace non avevano problemi economici, in quanto il padre di Arturo, da giovane, aveva ereditato la Casa dei Guaglioni ed una cospicua quantità di denaro da Romeo l’Amalfitano, uno degli uomini più ricchi dell’isola di Procida. Finché era in vita, il vecchio Amalfi era l’unica fonte economica del giovane Wilhelm, anche se era un po’ restio a lasciargli troppo denaro in quanto aveva l’enorme paura che lui se ne potesse andare da un momento all’altro, lasciandolo solo.
In una conversazione con il Guaglione, l’Amalfitano dice: “Pensare che, in passato, ho visto tanti paesaggi, tante persone: potrei popolare una nazione con la gente che ho visto. E l’amico più caro di tutta la mia esistenza, che sei tu, l’ho incontrato adesso che sono cieco. Per dire che conoscevo tutta la bellezza della vita, mi sarebbe bastato di vedere la persona di uno solo: la tua. E invece, proprio la tua persona non ho potuto vederla. Adesso, al pensiero di morire, di lasciare questa vita e questa bella isoletta di Procida dove ho conosciuta ogni spensieratezza e felicità, mi consolo con una speranza: alcuni credono che i morti siano spiriti, e vedano ogni cosa: chi sa che non sia vero? E se sarà vero, io, dopo la morte, potrò vederti.”
Beh!… Penso sia abbastanza inutile assegnare un quantitativo numerico alla profondità della riflessione fatta dall’Amalfitano. Ma, per accettarla o meno, dobbiamo chiudere gli occhi e chiederci: “credo nella vita dopo la morte? “.
Secondo voi, è ragionevole portarsi dentro questa fede e utilizzarla come unico appiglio per andare incontro ad una morte serena? Francamente penso che sia abbastanza soggettiva la questione in quanto trattasi di materia, che cambia testa per testa e non importa come, ma basta il risultato.

Un’altra cosa che ti ha colpito

Nunziatella
Tornando alla crescita di cui parlavo prima, ci troviamo di fronte alle prime interazioni che Arturo ha nei confronti di un coetaneo (che in questo caso è una ragazza, probabilmente ancora più difficile del previsto). Le loro prime conversazioni versano quasi del tutto su lui che le faceva vedere cosa leggeva e quali erano i suoi passatempi. Molto imbarazzanti erano le pseudo lezioni di filosofia spiccia che cercava di rifilarle, basate su quello che leggeva dai vecchi libri che trovava per casa.
Su una cosa, però, mi trovo d’accordo con il giovane guaglione, quando cioè, in una delle loro conversazioni, lui ribatte ad una provocazione di N. dicendo :”La maggior parte dei re e dei principi sono dei buffoni”. E va avanti: “Non basta mica possedere un trono per meritare il titolo di re, perché un re deve essere il primo valoroso di tutto il suo popolo”. La mia approvazione, nei confronti delle parole di Arturo, sorge in merito al fatto che oggigiorno ci rendiamo sempre più conto che le persone al comando (di qualunque ente: dagli alti vertici del comando di una nazione alla gestione di una società sportiva dilettantistica) vengono, molto spesso, manovrate da altre di cui non si sa né nome né cognome. Per non parlare dell’aspetto fisico: capita (a volte) che alcuni fantasisti se li immaginano esseri quasi alieni, per non dire mutanti che, con un intelletto malato, tirano le fila del mondo.
Lui li definisce: ”fetenti senza onore, degli usurpatori del comando”. Come direbbe qualunque venditore di frutta: “che faccio, lascio?” … direi proprio di sì! Perché il giovane filosofeggia bene dando una descrizione così azzeccata!
Oltre a parlarci di questi “re” fantoccio, ci rende edotti anche della parte più numerosa e sempre identificata (nella storia) come “gli altri”, coloro che, dalle alte sfere del comando, possono essere presi in considerazione solo in massa e mai singolarmente, causa il loro poco valore da singola unità.
Gli “altri” li ubica dicendo:” Il resto della gente sta divisa da loro, come un branco di vili catturati, buttati in fondo alla stiva della nave grandiosa”. Ma che cos’è la nave grandiosa? … Fortunatamente ce lo spiega e ci dice anche qualcosa in più …
“La nave sarebbe: l’onore della vita” dice Arturo. Ma il grosso problema di questi re è che è inutile che si comportino da “magnifici” lontano dai loro popoli, perché “se i veri re s’incontrassero con una popolazione del loro stesso sentimento, allora, potrebbero fare qualsiasi azione magnifica e potrebbero mettersi a conquistare perfino il futuro!”. La cosa che li affligge di più, probabilmente, è la solitudine, perché: ”a uno non basta la contentezza di essere un valoroso, se tutti quanti gli altri non sono uguali a lui, e non si può fare amicizia. Il giorno che ogni uomo avrà il cuore valoroso e pieno d’onore, come un vero re, tutte le antipatie saranno buttate a mare. E la gente non saprà più che farsene, allora, dei re. Perché ogni uomo, sarà re di se stesso!”

Una frase del libro da conservare

Solitudine
La solitudine è un sentimento molto ricorrente nel racconto, Arturo in prima persona dà l’impressione di sentirsi molto solo, anche se dice di riempire le sue giornate “vagabondando senza meta con qualche spicciolo in tasca”. Più di una volta viene messa in primo piano l’immagine delle donne che, con lo sguardo perso, guardano il mare in attesa che da quell’indifferente piroscafo scenda qualche loro caro.
Non solo le persone libere provano ciò; anche tutti i prigionieri del carcere sono, volenti o nolenti, affranti dall’eterna solitudine che la detenzione comporta. Quindi più che “l’isola di Arturo”, Procida è “l’isola della solitudine” … sbaglio?
L’Amalfitano, invece, è l’unico che contrasta questo sentimento, in quanto nel parlare con Wilhelm gli confessa che si è sentito solo per tutta la vita ma, da quando lo ha conosciuto, quel sentimento di incompletezza che provava prima è svanito.

Poche attenzioni
Molto spesso, quando ci sentiamo soli, cerchiamo di sfoggiare il più possibile le nostre abilità, più in generale: ciò che ci riesce bene. Negli anni questo è cambiato molto con l’evoluzione della società. Oggigiorno sono sempre più frequenti persone che postano continuamente foto in cui sorridono e dicono di essere felici. Alcune probabilmente lo sono ma, le altre, lo sono davvero? Nella stragrande maggioranza delle foto che postano sono sole, magari in una villa con piscina, in mezzo a qualche campo di grano o a picco sul mare. Il vero motivo è che la felicità, in quanto stato d’animo, non si può comprare, neanche tutte le ville del mondo potranno rendere quei selfie realmente privi di solitudine.
In quanto abitante dell’“isola della solitudine” (come l’ho definita poco fa) anche il giovane Arturo ha avuto a che fare con qualcosa di simile al sentirsi soli: la mancanza di attenzioni. Ormai è passato del tempo da quando Nunziata è arrivata sull’isola, tempo sufficiente perché lui si innamori. Questo porta Arturo ad una disperata ricerca di attenzioni nei confronti della giovane fanciulla. Se nel duemilaventidue la gente si fa foto in riva al mare dove sorride, cosa mai avrebbe potuto fare un selvaggio ragazzo di Procida, vissuto attorno agli anni Trenta, se non impasticcarsi (quasi) a morte con i sonniferi del padre?
Ebbene sì … il nostro giovane guaglione ingurgita pastiglie nel tentativo di inscenare la sua morte e far sì che lei si preoccupasse per lui.
In questa prova di forza, dove si paragona (in modo molto presuntuoso e beffardo) al grande Ulisse, dà un’enorme prova del suo infantilismo. “… mi sentivo libero e solo dinnanzi a una scelta: o la prova o la rinuncia!” afferma il ragazzetto. Continua: “m’invase un gusto di gioco misterioso e inaudito, e di sfida temeraria: come s’io fossi un audace ufficiale che, dopo lo spegnersi dei fuochi, e mentre le sentinelle dormono, fa una scorribanda nel campo nemico, fidando nell’impunità della notte senza luna, solo, senza nessuna scorta!”
Viene da sé notare la sua scarsa presa di coscienza di ciò che stava per fare. Simula la sua morte come si simula un fallo in una partita di calcetto. È da irresponsabili! Vivere il rischio può essere una scelta, ma solo se lo è consapevolmente, altrimenti resta solo un infantile modo per attirare l’attenzione.

Se questo libro fosse una canzone

Il bacio fatale

Ricerco un bene
Fuori di me,
non so chi’l tiene
non so cos’è.

Il sesto capitolo inizia così … Arturo latin lover!
Dopo il teatrino alla ricerca delle attenzioni, con uno scarso successo, si butta … la bacia!
Trova il coraggio e tenta l’impresa: come biasimarlo, è l’unica coetanea con cui ha mai avuto a che fare da quando era nato. Soprattutto è (quasi) costretto a viverci insieme: dunque ritengo sia abbastanza comprensibile, viste le circostanze.
Vorrei soffermarmi per un attimo ad osservare il contenuto della poesia a inizio capitolo. “Ricerco un bene fuori di me” …. “non so cos’è”. Ma davvero è razionale pensare di “sprecare” il proprio tempo alla ricerca di qualcosa che è fuori di noi (quindi: non di nostra proprietà) e soprattutto essendo coscienti che non sappiamo che cosa sia?
Ovviamente stiamo parlando dell’amore, qualcosa che nessuno è mai riuscito, per certo, a definire e a quantificare. In modo molto buffo tenta l’impresa la figlia di Tony Stark (nel film Endgame) quando prima di andare a letto dice :” I love you 3000”. Ok, fa sorridere, lo so.
Ma non credo che il suo “I love you 3000” possa competere con il bacio rubato che Arturo cerca di dare a Nunziata. Perché per una volta il giovane ha fatto una cosa che molti hanno paura di esprimere: lasciare libere le emozioni. Così facendo, è stato se stesso ed è andato alla ricerca di quel bene fuori di sé di cui era incerto della sua entità.
Probabilmente se ci fossero più Arturo Gerace in circolazione gli affari degli psicologi andrebbero a rotoli perché, molto spesso, le persone che vanno in cura non sono altro che individui che faticano nella gestione delle emozioni. La cosa che dimenticano, però, è che le emozioni non bisogna controllarle, ma vanno lasciate libere di esprimersi.
D’altro canto, però, bisogna sempre tenere a mente che non esistiamo solo noi e che la libertà degli altri inizia dove finisce la nostra. Quindi si introduce un fattore da non sottovalutare: la convivenza e i compromessi. Essi significano che non sempre le nostre emozioni corrispondano a quelle degli altri e spesso ci tocca cercare un “quieto vivere” arrivando a qualche compromesso.
Se fossimo “solo noi” (come canta Vasco in “Siamo solo noi”) sarebbe molto più facile, ma la ricerca di quel qualcosa di futile e nascosto sarebbe un migliaio di volte più difficile. Quando si cerca l’amore in una persona dobbiamo tenere presente che, se anche lei lo sta cercando, sarà più facile, perché il lavoro sarà cinquanta e cinquanta. Invece, se potessimo cercare l’amore solo in un’attività da fare o in qualcosa di non vivo (come un paesaggio) sarebbe quasi tragico, perché ci toccherebbe fare tutto il lavoro da soli.

Se ti è piaciuto il libro, leggi o guarda anche

Il viaggio verso l’ignoto
Siamo giunti quasi alla fine del viaggio del giovane guaglione. Questi sono quei momenti un po’ commoventi e malinconici, ma niente a confronto dello strazio che c’era nei volti di quelle famose signore che attendevano i mariti che scendessero dal piroscafo.
Dopo tanto tempo solo, e segregato nel dolore di quel bacio rubato, che lo aveva portato a stare in un continuo stato di ansia, in presenza di lei, anche uno struggimento, quasi un’amarezza d’ingiustizia, e una rabbia … torna l’uomo che lo ha cresciuto per tutta l’infanzia: il balio Silvestro.
E’ in vesti militaresche, vestito come un vero soldato valoroso – pensava Arturo. Quando il guaglione viene a sapere che è realmente un soldato e che sta per iniziare una guerra a difesa della patria, non ci pensa due volte e decide di partire il giorno seguente con lui, per andare ad arruolarsi.
Nelle ultime dodici righe del racconto penso che il cocktail di emozioni che vengono provate sia da Arturo che da Silvestro sia degno di riflessione. Il giovane, spinto dalla rabbia del tradimento da parte del padre con l’avanzo di galera Tonino Stella e di Assunta, trova la forza e la maturità necessaria per salire su quel piroscafo. Ah dimenticavo … per chi non lo sapesse, Assunta è la ragazza con cui si mette insieme poco dopo il rifiuto da parte di Nunziata.
La cosa che lo rende umano è la paura che prova: infatti dice a Silvestro :” Non mi va di vedere Procida mentre s’allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia … Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch’io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento.”
Arturo rimane con il braccio che gli copre il volto fino a quando Silvestro lo scuote dolcemente e gli dice che ora può guardare.
L’isola non si vedeva più!
Mi fa venire in mente Jim Hawkins quando, ne “L’isola del tesoro”, non vuole tornare più sull’isola: ma, se per Jim i motivi non sono chiari del tutto, per Arturo non è affatto così.

Gruppo di lettura

Classe 4Q - ITE "Gaetano Salvemini" Casalecchio di Reno Bologna

“L’isola di Arturo” è un magnifico viaggio di crescita misto a coraggio che ha portato il giovane Arturo ad abbandonare quello che è stata la sua fanciullezza (l’isola) per andare incontro a qualcosa di poco certo … la vita.
L’isola è stata per certi versi una palestra, per prepararlo il più possibile a quello che sarà la vita. Come prima cosa, lo sono state tutte le vicende legate ai primi batticuori che ha provato, situazioni che hanno fatto sì che sentisse sensazioni che non aveva mai vissuto prima d’allora. Ma, purtroppo, non prova solo sensazioni piacevoli come possono essere quelle di un bacio. Il rapporto emotivamente conflittuale che ha con il padre è stato determinante per la sua crescita.
Il buon vecchio Wilhelm è stato fortunato fino a quando appariva come un eroe; però le persone crescono e distinguono la realtà dalla finzione. Nella parte finale del libro si nota una presa di coscienza da parte di Arturo verso la figura del padre.
L’elemento scatenante è stato quando Wilhelm parte per l’ennesima volta senza il figlio per affari, esteri (dall’isola), di cui nessuno sapeva per certo di che cosa si trattasse. Questo comporta un completo distacco che, francamente, penso sia stato positivo. Perché il giovane guaglione trova la forza di svezzarsi e partire per quello che sarà la SUA vita.
Fino ad adesso lui ha vissuto una vita di riflesso, dai racconti e dalle esperienze di qualcun altro, partendo da quelle che legge sui libri a quelle che gli vengono raccontate dalle persone vicino a lui.
Quindi …
Passo dopo passo sale sul piroscafo. Si siede. Si copre il viso con un braccio. Silvestro lo avverte. L’isola sta scomparendo. L’isola non si vede più. Puff! E la vita di Arturo inizia proprio in quel momento.
E’ l’emozione di diventare grandi.

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