La Peste 2021, Un libro tante scuole

La peste: l’allegoria del male


Giuseppina De Simone


Una cosa che ti ha colpito

Nel romanzo, il morbo assume un significato allegorico: è la minaccia posta alle democrazie da parte di un regime totalitario. È il male che riaffiora e di cui l’uomo non riesce mai a sbarazzarsi completamente. La storia è dunque figlia di un determinato periodo storico e simboleggia la crisi politica, la crisi ideologica che spazza via le certezze ottocentesche e getta l’uomo drammaticamente in un mondo in cui regna l’assurdo a cui l’essere umano non riesce ad attribuire un significato dato che vi sono stati eventi che con la razionalità non possono essere spiegati. Camus ci mostra tutti gli aspetti di una crisi sotto diversi punti di vista: l’opinione pubblica da tenere sotto controllo, per non mandarla in panico, il ruolo dei medici che devono prendere al più presto misure per contenere il contagio, la lotta contro il tempo, le fake news e la paura di non essere informati correttamente dai mass media (oggi più che mai) e infine la separazione, l’esilio, l’angoscia e la solitudine.

Un’altra cosa che ti ha colpito

Nonostante il divario temporale, il libro è molto attualizzabile soprattutto se si considera la reazione dell’uomo medio durante la pandemia. Piuttosto che considerare il virus un male comune, molti lo hanno ridotto ad un male “particolare”, ad un ostacolo per i progetti, gli affari, le relazioni etc. senza accorgersi di trovarsi sulla stessa barca col resto del mondo e non accettando a pieno l’esistenza della malattia. Ne “La peste”, Rieux, medico e narratore della storia, afferma proprio che uno degli effetti della malattia era stato quello di obbligare i cittadini ad agire come se non avessero sentimenti individuali. Così è accusato da Rambert, un giornalista rimasto bloccato ad Orano da cui vuole scappare per ricongiungersi con la sua ragazza, di pensare in termini astratti senza considerare il fatto che il bene comune coincida con la felicità di ognuno anche se è evidente che in tal caso sarebbe più corretto parlare di ragionevolezza, di verità, in quanto le misure prese ad Orano, come nel nostro Paese, sono state necessarie e frutto di fatti drammatici. Le persone sono ormai “esuli” “prigionieri” che cercano di rifugiarsi nel passato, nemico, nel futuro, assente e cercano di evitare di pensare alla situazione presente, verso la quale sono sofferenti. Il desiderio che il tempo passi velocemente, e esigere, alla fine, un riscatto per il tempo perduto; l’importanza dell’ “engagement”, di lottare e di “non mettersi in ginocchio”, la speranza e il benessere ridotti ad un semplice paragonare la propria situazione con quella di chi sta peggio di noi, l’abbandono delle formalità in casi di urgenza come la crisi delle bare, la sofferenza che da individuale si rende universale (inteso come comunità) e il tempo che diventa un eterno presente, una successione di istanti sperando di soffocare la speranza e cancellare la memoria.

Una frase del libro da conservare

So per certo […] che ciascuno la porta in sé, la peste, perché nessuno, no, nessuno al mondo ne è immune.

“La peste” di Camus viene pubblicata nel 1947, dopo le vicissitudini di due guerre mondiali. Il romanzo si presenta come la cronaca dei fatti avvenuti in una cittadina in Algeria, Orano. Una pestilenza si abbatte sulla vita ordinaria delle persone improvvisamente, non perché destinate ma perché facenti parte dell’assurdità che domina il cosmo di cui Camus constata l’esistenza, calandosi a pieno nella corrente esistenzialista che si sviluppa nel mezzo delle due guerre mondiali.

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