Salone del Libro 2022

La mente innamorata di Mancuso


Maria Vittoria Giammanco, Giorgia De Luca liceo classico Alfieri


Ispirandosi al XXVII canto del Paradiso dantesco, il celebre teologo e filosofo Vito Mancuso intitola il suo ultimo libro “La mente innamorata”. La presentazione del saggio si è tenuta oggi, 20 maggio, al Salone del libro di Torino. Intervistato da Armando Bonaiuto, l’autore apre l’incontro, di fronte ad una sala gremita, definendo il concetto di “mente innamorata”, da lui intesa come organo che permette di interpretare il mondo attraverso la lente di un ideale che non è di tutti. Da qui, la digressione sul fenomeno dell’innamoramento, da lui acutamente definito come evento in cui chi ama subisce un cambiamento di stato. L’innamoramento è infatti per Mancuso, come tutte le grandi esperienze della vita impossibile da analizzare solo con gli strumenti della logica, poiché “una mente tutta logica è come un coltello tutta lama: fa sanguinare la mano che lo usa”, come dice Rabindranath Tagore, da lui citato. In questo senso, la mente innamorata si presenta come un mix di logica e ideale. Nonostante ciò, lo scrittore giudica sbagliato elevare a principio universale i propri ideali, in quanto ciò degenererebbe in ideologia o dogmatismo. Estremamente interessante poi la risposta dello scrittore alla domanda: “la mente innamorata può innamorarsi di sé?”. Secondo Mancuso ciò è possibile, se è infatti vero che la verità dimora all’interno dell’animo umano (“in interiore homine habitat veritas” diceva Sant’Agostino), l’unico mezzo che permette di raggiungerla è il silenzio interiore, esercitabile tramite pratiche quali la meditazione, anche detta in ambito tradizionale cristiano “esame di coscienza”. Durante questo momento, l’io unico si scinde in “io-soggetto” ed “io-coscienza” (il sé invisibile di Kant) e rende possibile per la mente innamorata innamorarsi di se stessa. Profonda anche la riflessione riguardo al fine del credo religioso. Mancuso identifica tale obbiettivo nel fornire al credente un luogo in cui rifugiarsi, per non divenire prigioniero (“captivus”) delle proprie passioni. Esse infatti impediscono all’uomo di adempiere al proprio dovere di “servire la vita”, concetto elaborato dal celebre medico Schweitzer, e di conseguenza di vivere nella letizia.

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