Domenica 19 marzo, presso la biblioteca civica di Pordenone, si è tenuto l’incontro a titolo “Amuri di Petra. Lampedusa, l’isola che c’è”, secondo appuntamento del Dedicafestival 2023.
Ad aprire l’incontro il signor Cataruzza (direttore artistico di Dedica), che ha presentato i protagonisti della mattinata: Angelo Bertani, critico e storico d’arte, Mara Fella, fotografa indipendente nonché autrice dei capolavori della mostra e Maylis de Kerangal, a cui è stata dedicata questa edizione del festival. Presente in sala anche Marina Astrologo, traduttrice. Il direttore ha poi spiegato il significato del titolo della conferenza: “l’isola che c’è” è un appunto introdotto allo scopo di ricordare l’esistenza di quest’isola, puntino nel Mediterraneo, dimenticata per secoli e ora sotto i riflettori per turismo, ma parallelamente anche per i tragici sbarchi immigratori. Dalla contraddizione di quest’isola nascono i due capolavori: “Lampedusa”, libro di Maylis de Kerangal (titolo originale francese: “A questo punto della notte”, dove l’autrice nel cuore della notte ascolta la tragica notizia della morte di 313 persone nelle coste di Lampedusa nel 2015 e avvia un dialogo con se stessa con ragionamenti e collegamenti) e la mostra fotografica di Mara Fella, allestita presso la sala espositiva della biblioteca civica.
Maylis de Kerangal, ha raccontato che la sua l’opera “Lampedusa” nasce da un profondo ascolto di se stessa e da una ricerca di tutte quelle immagini che le ricordano il toponimo dell’isola. Immagini apparentemente diverse hanno tessuto tra di loro degli echi e dei riverberi che l’hanno spinta ad affrontare e analizzare un tema importante: quello dell’immigrazione. Importante, per l’autrice, è la sua posizione nei confronti di quest’ultima: ma come partecipare a questi eventi come scrittrice, donna bianca, privilegiata e abitante di Parigi? Il contenuto del libro si pone l’obiettivo di analizzare questi aspetti, nonché indubbiamente di omaggiare Lampedusa, isola di cinema e letteratura, diventata epicentro di una tragedia umana. Maylis conclude il suo intervento dichiarando il suo interesse per la dimensione medico-legale dell’immigrazione e affermando una verità purtroppo ormai nota: quella del Mediterraneo occidentale è la rotta migratoria più pericolosa e assassina del mondo.
Emozionata, Mara Fella ha proseguito l’incontro esponendo alcuni capisaldi che l’hanno guidata durante il suo viaggio a Lampedusa. Le sue opere non vogliono essere parte di un reportage fotografico e hanno l’intenzione di dissociarsi completamente dalla narrazione mediatica e turistico-promozionale dell’isola (da qui infatti la scelta di scattare in bianco e nero). Il suo intento è offrire al pubblico una visione generale di ciò che accade e di ciò che resta una volta spenti i riflettori dei mass media. Durante la sua permanenza nell’isola, da un lato Mara ha avuto incontri umanamente e emotivamente potenti con gli abitanti, dall’altro si è scontrata con la dura realtà dei naufragi. La vista degli oggetti a riva appartenuti ai profughi ha suscitato in lei un umore cupo, da cui deriva il secondo motivo per cui la mostra è presentata in bianco e nero. La sua ricerca fotografica aveva l’obiettivo di analizzare la contraddizione che si cela dietro all’isola.
Ha concluso l’evento Angelo Bertani, che ha illustrato alcune chiavi di lettura e aneddoti utili per leggere le fotografie della mostra. Ha inoltre puntualizzato come sia nell’isola, sia in generale tra la popolazione, ci sia una zona grigia di indifferenza, rilevata tra i viaggiatori ma anche nella narrazione superficiale non informativa. Mara Fella ha voluto invece approcciarsi all’isola in maniera empatica ed essenziale, non strumentale. La fotografa è definita “fotografa umanista”, infatti nelle sue opere è possibile notare come l’uomo sia al centro, quasi con l’intenzione di comunicare al pubblico come questo aspetto sia stato nel tempo dimenticato.
Il pubblico ha colto l’occasione per visitare la mostra di Mara Fella, dove inizialmente viene ripresa la parte materiale e minerale dell’isola (che ne dà una descrizione geofisica), successivamente quella umana e tragica dei naufragi (con gli oggetti riportati dal mare) per culminare poi con una rappresentazione di una possibile speranza: dei giovani membri della nuova generazione che giocano a calcio, messi a fuoco grazie alla luce di un lampione.
Beatrice Bettin, Liceo scientifico M. Grigoletti, Pordenone