L’ultimo romanzo di Lidia Yuknavitch, “La cronologia dell’acqua” (Nottetempo), presentato il 9 ottobre a Portici di Carta, è una raccolta di memorie dell’autrice, che trova un filo conduttore nella funzione salvifica dell’acqua e nel dialogo tra intelletto e corpo. La scrittrice interroga le parti del suo corpo, cercando tramite queste di ricostruire la sua storia: una storia fatta di violenza, lutto, dolore, ma anche di rinascita, redenzione e perdono.
Sulla vita dell’autrice hanno ampiamente influito le violenze fisiche e verbali perpetrate dal padre nei confronti suoi e della sorella. Proprio in questa traumatica compagine si inserisce l’acqua, per lei fonte di salvezza. È infatti grazie alla sua carriera agonistica nel nuoto che trova la possibilità di allontarsi dalla casa paterna e iniziare il suo tortuoso processo di guarigione. “All’acqua non interessa se sei grassa o magra, bella o brutta, stupida o intelligente, vecchia o giovane. Quando sono in acqua sento di avere la possibilità di liberarmi delle pressioni sociali che non sento mie“: con queste parole Yuknavitch chiarisce il ruolo dell’acqua nella sua vita.
Ancora, l’acqua è riuscita a liberare l’autrice dal peso opprimente dell’odio. A tal proposito, racconta l’episodio del salvataggio del padre, che rischiava di affogare nell’oceano. “Io ero lì, e potevo scegliere di non salvarlo. Ma alla fine l’ho fatto, perché non potevo lasciarlo lì, nonostante io lo odiassi e lo volessi morto […] È stato un modo per lasciare andare la mia rabbia”.
L’acqua è movimento e continuo scorrere, per questo viene metaforicamente associata all’idea dell’immaginazione senza limiti, di uno spazio libero per l’espressione di se stessi.
Un altro motivo ricorrente nel libro e su cui Yuknavitch insiste è quello dei corpi, corpi che portano con sé e su di sé storie ed esperienze, le quali hanno un valore intrinseco solo per il fatto di esistere e dunque devono essere raccontate. Lidia Yuknavitch non vuole che la si ritenga speciale per ciò che ha vissuto e per il fatto di averlo raccontato in un libro, ma vorrebbe dare l’esempio. “Dovrebbero esserci tante storie quanti sono i corpi, poiché ogni corpo e ogni parte di esso porta con sé una storia.” L’invito dell’autrice è di decostruire le monostorie su temi come la violenza, il lutto e la dipendenza e, invece, di dare spazio a molteplici racconti e punti di vista, di cui ognuno di noi è portatore e potratrice.