L’isola di Arturo viene riconosciuto come un romanzo prevalentemente di formazione. È interessante come venga subito messa in risalto la figura del protagonista, Arturo, un orfano di madre che idolatra suo padre, prendendolo come modello da seguire. L’autrice è capace di trasportare il lettore in un mondo lontano, lo fa immergere nell’atmosfera di una Procida fantastica, vista con gli occhi di un bambino. La vita per Arturo (dal lodevole nome di una stella) è promessa solo di imprese e di libertà assoluta. Queste sono le sue memorie, dall’idillio solitario alla scoperta della vita, l’amore, l’amicizia, il dolore, la disperazione. È un romanzo commuovente, intenso, che condiziona quasi le vite di ciascuno di noi. La sottile linea che separa l’età infantile da quella adulta è il vero tema che si affronta. Viene prima esposto il biennio di vita dai 14 ai 16 anni e la narrazione si interrompe il 5 dicembre, il giorno del 16° compleanno di Arturo. Si tratta del giorno del “non ritorno”, dell’approdo all’età adulta, che Arturo non vedeva l’ora di raggiungere, anche se con aspettative di gran lunga differenti. Ognuno di noi ha avuto in età infantile la sua Procida, con i suoi profumi, i suoi ricordi, le sue abitazioni che rievocano la purezza di un’età che non potrà più essere vissuta. È evidente il passaggio dall’abbandono a questo mondo “fatato” alla realtà concreta che lo ha portato a crescere, a staccarsi quasi completamente da ciò che ha costituito la sua infanzia. Arturo comincia a prendersi le proprie responsabilità, ma non dimenticando MAI ciò che è stata la sua prima età, che richiama più volte con evidente nostalgia.