Nel romanzo “L’isola di Arturo”, Elsa Morante si cala nei panni di un ragazzo adolescente, Arturo, costretto ad affrontare, spesso da solo, i momenti delicati e decisivi della sua crescita, alla continua ricerca di se stesso e del suo valore. Il suo processo di maturazione è influenzato sia dall’ambiente che lo circonda che dai familiari. Per Arturo, Procida è un rifugio, quest’isola per lui rappresenta il grembo materno, qui scopre sentimenti fino ad allora sconosciuti: il senso di libertà, la gelosia, l’invidia l’amore, la paura… La sua infanzia la passa a leggere libri, a disegnare sull’atlante i luoghi dove vorrebbe arrivare, a sognare come vorrebbe diventare: come i re e i condottieri che hanno fatto la Storia o come il padre adorato e sempre lontano. Crescendo comincerà, tuttavia, a capire come realmente è il mondo fuori dalle mura della “Casa dei guaglioni”. Comincia a temere la morte, che gli ha portato via sua madre, non consentendogli di conoscere quel sentimento d’amore che solo una madre può dare. La morte la definisce come “una realtà insensata, che non significa niente, e vorrebbe intorbidare la chiarezza meravigliosa della realtà”.
L’evento che gli rivoluzionerà la vita sarà l’arrivo della nuova sposa del padre, Nunziatella. Inizialmente Arturo la disprezza, perché è cresciuto con il sentimento dell’odio verso le donne, trasmessogli dal padre, e anche perché è roso dalla gelosia. Arturo inizialmente non vuole condividere con lei il mondo in cui vive, la considera un intruso, ma l’avversione si tramuta presto in attrazione e poi amore, arriva persino a dichiararsi perdendo la serenità che aveva caratterizzato la sua vita fino a quel momento. Si sente scuotere da un sentimento che egli paragona al mare in tempesta, che stravolge tutto ciò che gravita intorno a lui. Ma Nunziatella lo rifiuta, e non perché non provi lo stesso sentimento ma perché vede questo legame come qualcosa di sbagliato e peccaminoso. L’amore di Arturo così si trasformerà in odio, un odio che gli farà perdere tutte le certezze in cui aveva sempre creduto…
Questo romanzo non è solo la storia di Arturo, può essere definito, a mio giudizio la metafora di una condizione esistenziale: quella dell’adolescenza. L’adolescenza è quella fase di crescita con la quale dobbiamo fare i conti non appena lasciamo il mondo dell’infanzia. Da piccoli si desidera tanto diventare grandi, guardiamo i nostri genitori come se fossero “supereroi” da imitare. Poi all’improvviso ci ritroviamo diversi, il nostro corpo cambia, anche la nostra voce ma soprattutto cambiano i nostri atteggiamenti, poiché ci sentiamo grandi, ma dentro di noi regna quasi sempre il disordine, la confusione. Comunichiamo quello abbiamo dentro in modo incomprensibile agli occhi degli adulti, e secondo noi possiamo essere compresi solo dai nostri coetanei. Si entra poi nella fase successiva quando cominci a crescere e ti rendi conto della realtà della vita, tutto cambia, perché guardiamo con una prospettiva diversa ciò che accade intorno a noi; cerchiamo una nostra identità, e per trovarla dobbiamo essere disposti a lasciare l’isola…a salpare verso mete sconosciute.