Non vedo la guerra come qualcosa di terminato
Così apre il suo intervento Zaina Erhaim, giornalista e femminista siriana, in occasione del del primo incontro del Festival di Internazionale a Ferrara, svoltosi oggi 13 marzo, in diretta su Facebook. Il dialogo, mediato dalla giornalista di Internazionale Francesca Gnetti, ha visto come voci interlocutrici anche l’attivista siriana Yara Bader e il politologo Ziad Majed.
Insieme hanno delineato un quadro della situazione siriana, a dieci anni dall’inizio della guerra civile. Insieme hanno restituito l’immagine di un Paese dilaniato dalla frammentazione, da una crisi finanziaria senza precedenti e dal rischio di una catastrofica carestia, un Paese che piange circa mezzo milione di vittime a causa della guerra civile.
All’inizio della Primavera Araba del 2011, la popolazione siriana nutriva la speranza di un tangibile cambiamento, orientato alla democratizzazione del Paese, ma dopo la risposta del presidente Assad, che non ha tardato ad imporsi, questa speranza si è infranta contro la cieca e violenta repressione da parte del governo.
Assad si considera il vincitore di questa guerra, nonostante, come evidenziato da Majed, il suo potere sia completamente vincolato dal sostegno delle potenze straniere che occupano militarmente il territorio siriano, come Russia e Iran. L’unico campo di azione, condotta direttamente da Assad, è infatti il regime carcerario, strumento principale attraverso cui il presidente attua la sua violenta repressione ai danni dei dissidenti politici, tanto che, in dieci anni, circa diecimila persone sono state dichiarate scomparse in carcere. Nonostante il coinvolgimento di molte forze straniere, impegnate nell’occupazione del territorio, la risposta delle organizzazioni internazionali è stata ininfluente, se non totalmente assente, traducendosi, secondo Majed, in una perdita di credibilità da parte delle istituzioni internazionali come l’ONU.
Un altro importante problema sollevato da Yara Bader è la scarsa attenzione mediatica nei riguardi della drammatica situazione socio-economica dei cittadini siriani. Nonostante l’azione eroica di alcune ONG siriane, che hanno documentato e portato testimonianza delle atrocità e delle ingiustizie commesse dal regime di Assad, la maggior parte della popolazione si trova in condizioni di vita disastrose, nella generale indifferenza dell’opinione pubblica mondiale.
Molti pensano di ritrovarsi in un mondo alieno
commenta Zaina Erhaim, mettendo in evidenza come i civili paghino, anche in questo caso, il prezzo più alto dei conflitti. Privato della propria casa, dei propri diritti civili e di qualsiasi forma di libertà di espressione, il popolo siriano ha visto nell’ultimo anno notevolmente peggiorare la propria condizione di vita a causa della crisi pandemica, tanto da considerare addirittura superflue le misure preventive al contagio o un piano di somministrazione vaccinale.
Sono le generazioni future che più patiranno di più le conseguenze di una simile situazione: nell’assenza di un sistema educativo e di adeguate condizioni socio-economiche, i giovani potrebbero anche perdere totalmente fiducia nell’instaurazione di un governo equo e vedere come unica soluzione l’avvicinamento a gruppi più estremistici, come jihadisti e islamisti. Di questo Majed tiene a precisare la differenza: se il secondo gruppo si riferisce a una trasposizione dell’Islam anche all’ambito politico, il primo rifiuta qualsiasi realtà di vita associata, avvicinandosi a un’ideologia nichilista e promuovendo una condizione hobbesiana di guerra di tutti contro tutti.
Non si può tornare al punto zero e riavvolgere la pellicola afferma Yara Bader.
Ma, alla domanda sul futuro della Siria, i tre relatori concordano sul fatto che una soluzione alla profonda crisi del Paese non si troverà a breve; inoltre, nei prossimi anni, sarà necessaria per i cittadini siriani avviare una procedura di accountability, un rendere conto di quanto è avvenuto, affinché i crimini commessi non rimangano impuniti, un processo di normalizzazione che segni l’affermazione della giustizia, troppo a lungo negata al popolo siriano.