La prima cosa che pensiamo di un dittatore è che si nutra del cuore ancora pulsante di serpenti. Ma questo mito è stato sfatato da Witold Szabłowski nel libro Come sfamare un dittatore pubblicato in Italia da Keller Editore e tradotto da Marzena Borejczuk. Il reporter ha imparato a conoscere i cuochi personali di cinque dittatori del XX e XXI secolo nell’ambiente a loro più familiare, la cucina, dove, tra coltelli e salsa Tabasco, riaffiorano aneddoti e ricordi dei loro vecchi “padroni”. Se il detto è: “L’uomo è ciò che mangia”, nel caso dei dittatori è tutto l’opposto, l’immagine di nazionalisti amanti della patria svanisce davanti alle loro tavole riempite di prodotti tipici di altre culture, che rivelano la loro personalità ben diversa da quella che vogliono mostrare.
Oggi Szabłowski, intervistato da Leonardo G. Luccone nella Sala Internazionale del Salone, offre uno sguardo sul presente, rifacendosi ad una conversazione con la cuoca di Pol Pot, la quale sperava che il dittatore si fosse reincarnato essendosene innamorata. Attorno a questa affermazione agghiacciante ruota il senso stesso del libro: la paura di una nuova minacciosa personalità che diventi guida di un popolo immerso nella precarietà politica e disposto a cedere la propria libertà. Perché, infondo, il piatto più prelibato per un dittatore è la paura.