Cronache

Una pace può essere fondata sui lutti?


Giulia Pellegrini - Francesco Vitali, Liceo L. Ariosto di Ferrara


“Si può accettare la distruzione di un Paese per rimanere al potere?” È questo l’interrogativo che è stato alla base dell’incontro di oggi, sabato 2 ottobre 2021, organizzato da Jacopo Zanchini, vicedirettore di Internazionale. Dopo la battaglia, l’evento svoltosi a palazzo Naselli Crispi di Ferrara, ha spinto i partecipanti a riflettere su tre grandi conflitti della storia spesso non adeguatamente affrontati: la fratricida guerra in Bosnia, il cruento conflitto in Siria e gli interminabili scontri tra Israele e Palestina.
Le guerre Jugoslave furono terribili scontri susseguitisi tra il 1991 e il 2001, che condussero alla dissoluzione del Paese. La peggiore di queste guerre fu combattuta in Bosnia tra il 1992 e il 1995. Quest’ultima vide scontrarsi tre gruppi nazionali: Serbi, Croati e Bosniaci. Queste guerre, che contrapposero persone un tempo amiche, vennero macchiate di terribili atrocità. Tra tutti gli eccidi, uno dei più cruenti si consumò nella città di Srebrenica nel luglio del 1995, dove innumerevoli cittadini si erano rifugiati e il generale Mladić, forte del fatto che i caschi blu non erano intervenuti, con il solo scopo di conquistare la terra, abbatté la città e tutti i rifugiati che avevano cercato la salvezza dentro quelle case; massacrò i maschi a partire dai tredici anni e deportò donne e bambini. Oggi, purtroppo, non si può definire “concluso” quello scontro, che è stato piuttosto “congelato”: da un momento all’altro potrebbe infatti tornare e riportare con sé tutta quella spirale d’odio.
Una guerra, mossa anch’essa della sete di potere, è la guerra iniziata il 15 marzo 2011 in Siria, nel Medio Oriente. La popolazione insorse contro il regime di Bashar al-Assad, il quale reagì spegnendo nel sangue queste proteste, e la contestazione si trasformò presto in lotta armata. Questo conflitto non può definirsi nemmeno “congelato”, in quanto dal 2011 non ha ancora trovato soluzione.
Tra i conflitti più sanguinosi e da più tempo combattuti c’è quello tra Israele e Palestina. Il conflitto iniziò in seguito alla Dichiarazione di indipendenza israeliana del 1948 e non trovò una conclusione, rimanendo una ferita aperta per il mondo intero. Per farlo cessare, sarebbe bastato un accordo sulla spartizione del territorio, accordo che sarebbe inutile stipulare oggi viste le continue complicazioni. Attualmente la popolazione continua a vivere sotto occupazione militare, tra continui insulti, proteste e violenze reciproche. Come può una democrazia moderna permettere che un popolo venga trattato in questo modo? Per lungo tempo molti eventi furono tenuti nascosti: innumerevoli gli eccidi e i sabotaggi ai danni dei giornalisti che si erano recati in quei luoghi per documentare le terribili vicende che stavano segnando quei territori. Gli scontri avvengono ogni giorno da settantatré anni, eppure pochissimi sono quelli che si occupano di divulgare questi orrori.
La guerra è purtroppo una realtà quotidiana per molte Nazioni. Ogni Paese ha l’obbligo morale e sociale di intervenire: queste dolorose piaghe non sono ancora state sanate e, ancora oggi, è molto l’odio che sta riprendendo a diffondersi. Questi conflitti sono inammissibili al giorno d’oggi. Siano d’esempio gli scontri passati: una democrazia in guerra non è una democrazia, e nessuna guerra può avere una motivazione, tanto meno se il sangue dei civili viene versato per la sete dei potenti.

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