Nel corso degli ultimi anni, sono state emanate numerose leggi che tutelano le persone disabili, ma sono davvero applicate nella nostra quotidianità?
Proprio questo è stato il tema cardine dell’incontro mediato da Stefania Mascetti presso il Ridotto del Teatro Comunale domenica 6 ottobre 2024 in occasione del festival di Internazionale. Lo scrittore e attivista Fabrizio Acanfora, Simonetta Botti, una rappresentante del Cidas (Cooperativa Inserimento Disabili Assistenza Solidarietà), e la scrittrice e consulente Marina Cuollo hanno approfondito la difficoltà incontrata dai disabili nel relazionarsi all’interno della nostra società, che classifica gli individui in base a ciò di cui sono capaci. La stessa etimologia della parola “disabile” indica la mancanza di qualcosa: purtroppo proprio su questo si focalizza chi si approccia a un disabile, comparandolo a bambini e anziani, quando, invece, sarebbe necessario interessarsi alla sua storia di vita, che determina il suo carattere.
Coloro che soffrono di disabilità sono considerati nettamente separati dal resto della società, che si autodefinisce normale con un’accezione positiva e che si identifica con l’idea di un corpo perfettamente abile. Seppure nel corso del tempo ci siano stati tentativi di inclusione, non si è mai giunti a una concreta convivenza; infatti l’inclusività è percepita come un favore o un atto di carità che gli individui “normali” dispensano a quelli meno fortunati. Lo si può notare negli ambienti pubblici, in particolare nelle scuole, dove le persone disabili non sempre ricevono le attenzioni dovute; ad esempio, talvolta, vengono loro assegnate aule che sono sfruttate come ripostigli. Si tratta di una negazione della dignità delle persone disabili, che, come il resto della popolazione, avrebbero diritto a spazi curati.
Inoltre, una delle maggiori problematiche è l’assenza di disabili all’interno del mondo della comunicazione e della pubblicità, ad eccezione di modelli stereotipati come quello delle paralimpiadi, competizioni in cui si mostrano atleti in grado di superare i loro limiti, come se tutti ne fossero capaci. A causa di questa ideologia, la maggior parte dei disabili cerca di essere “il più normale possibile”, andando incontro a fatiche estenuanti.
Quello che la società odierna non comprende è che accettare fino in fondo le persone con disabilità non significherebbe soltanto un vantaggio per queste ultime, ma fornirebbe anche nuove risorse a tutta la comunità. Si tratta, quindi, di una prospettiva che può tradursi in un concreto “mandato storico-sociale”: se i disabili riuscissero a essere coinvolti concretamente nella quotidianità, anche le altre minoranze presenti in ogni Paese potrebbero intraprendere questo percorso e sentirsi parte di uno stesso gruppo. Il problema non risiede nella disabilità, ma nelle barriere che l’uomo si costruisce.