Eravamo tante, e tanti. Eravamo noi, le ragazze e i ragazzi del gruppo di lettura del Bookstock, e le nostre amiche del gruppo di lettura L(‘)Ottativo, del liceo D’Azeglio di Torino. Ci siamo ritrovate nell’aula magna del Liceo Alfieri, grazie a una collaborazione di Salone del Libro, di Einaudi editore e di Torino Rete Libri, per incontrare l’autrice Laura Imai Messina e farle qualche domanda a proposito del suo ultimo romanzo: “Tutti gli indirizzi perduti”.
Laura Imai Messina è un’autrice di fama internazionale, ha scritto romanzi, saggi e storie per ragazzi, è nata in Italia e cresciuta in Giappone. La protagonista di “Tutti gli indirizzi perduti”, Risa, è una docente universitaria che si reca sull’isola di Awashima per catalogare le lettere dell’Ufficio postale alla deriva, un luogo particolare, unico al mondo. Le lettere contenute al suo interno non sono mai arrivate a destinazione, per vari motivi: i destinatari sono scomparsi, non sono raggiungibili o non esistono. Risa durante il suo soggiorno sull’isola ne conoscerà gli abitanti e scoprirà la bellezza di un luogo caratterizzato dalla lentezza, che la aiuterà a riflettere sul suo passato.
Scrivere lettere è un gesto, ad oggi, poco usuale, mentre un tempo era alla base della comunicazione e dei rapporti interpersonali. All’interno del romanzo coloro che scrivono le lettere sono mossi dalla necessità di comunicare un’emozione, raccontare un ricordo, porre delle domande, senza aver bisogno di una risposta. Il rituale di scrivere una lettera a mano, riversandovi pensieri senza il bisogno di filtrarli, inserirla in una busta con cura e spedirla, risulta essere curativo, una sorta di terapia. Può aiutare a riflettere sulle emozioni, a passarci attraverso, a restituire una parte del proprio vissuto all’inventore del phon per ringraziarlo, a salutare una foglia con la speranza di ritrovarsi, a chiudere un cerchio.
Tutto il senso dello scrivere queste lettere è, precisamente, scriverle. — Alle persone viene voglia di scrivere non solo per convenzione ma anche per loro stesse.
L’Ufficio postale alla deriva esiste davvero, Imai Messina l’ha visitato più volte e le è servito da ispirazione per questo romanzo. Ha letto molte delle lettere che sono conservate al suo interno e, proprio come Risa, ha conosciuto le storie dei mittenti, senza nemmeno incontrarli.
I mittenti, nel romanzo come nella realtà, sono di ogni genere e molto diversi tra loro: anziani che scrivono periodicamente a vecchi amici, bambini che scrivono al giocattolo perduto o al loro kanji preferito, giovani che scrivono ad una ragazza che hanno visto, ma con cui non hanno mai parlato.
Il romanzo, inevitabilmente, ci trasporta all’interno della cultura giapponese, molto diversa da quella occidentale. I rapporti umani sono basati sul rispetto degli spazi personali, che si dimostra nei gesti, nelle parole e in ogni comportamento.
L’autrice ci ha raccontato che, ad esempio, per non disturbare gli altri passeggeri evita di parlare al telefono sui treni o che per strada non è comune trovare i cestini, ma che ognuno porta con sé ciò che deve gettare e lo fa direttamente a casa propria.
Un’altra differenza è il modo di dimostrare amore, come percepiamo all’interno del romanzo, in Giappone non sono solite le manifestazioni d’affetto in pubblico, tra partner, ma anche tra figli e genitori. L’affetto non si dimostra col contatto fisico. Questi comportamenti sono solamente diversi da quelli occidentali, non migliori o peggiori, derivano dalla cultura giapponese e non potrebbero facilmente adattarsi a quella occidentale.
Abbiamo richiesto al nostro pubblico, composto da studenti e insegnanti di diverse scuole di Torino, di partecipare ad un’attività. Ognuno ha scritto su una busta il destinatario di un’ipotetica lettera per l’Ufficio postale alla deriva. Abbiamo poi letto alcuni dei nomi sulle buste: Nelson Mandela, una studentessa sempre seduta in fondo all’aula, la ragazza vista alla fermata dell’autobus, il primo amore, il nonno, la mamma, il papà, il gatto che non è mai tornato, il liceo che avrei voluto fare…
La varietà delle risposte ci permette di capire quanto ognuno di noi abbia bisogno di esprimersi, esternando i sentimenti: ognuno ha un indirizzo perduto a cui dedicare i propri pensieri, una storia da raccontare.