Cronache, Internazionale Ferrara 2024

Tibetani: un popolo senza nazione


Sara Sfarra, Sophie Soffritti

Liceo L. Ariosto - Ferrara

Barbara Demick è una scrittrice e giornalista statunitense che scrive per il Los Angeles Times. Nella giornata conclusiva del Festival di Internazionale, 6 ottobre 2024, presso l’ex Teatro Verdi, presenta il suo nuovo libro, I mangiatori di Buddha (Iperborea, 2024), nel quale racconta la storia della città di Ngaba durante gli anni ’30, periodo dell’invasione del Tibet da parte dell’Armata Rossa cinese.

L’autrice racconta che la scrittura di questo libro nasce dalla necessità di conoscere meglio la storia e la cultura tibetana. Il Tibet, rivela Demick, è un paese difficile da esplorare sia a causa della sua conformazione territoriale sia per la situazione geopolitica, in quanto diviso in due macroaree: la Regione Autonoma del Tibet e la zona controllata dalla Repubblica Popolare Cinese.

La scrittrice svela che in varie occasioni durante il suo lavoro in loco si è dovuta travestire con costumi locali per non essere riconosciuta, non solo per la propria sicurezza ma anche a tutela dei tibetani, che subiscono pene durissime se scoperti a lavorare con giornalisti di altri Paesi.

L’autrice continua, esponendo la trama del suo libro, dove racconta la vita nel Tibet occupato dalla Cina attraverso le storie di abitanti della cittadina di Ngaba. In questo modo descrive la repressione culturale, religiosa e politica subita dai tibetani, il controllo stretto del governo cinese e le difficoltà quotidiane di una popolazione che cerca di mantenere la propria identità. Molti protagonisti si rifugiano nel buddhismo e nella resistenza pacifica, mentre alcuni, in segno estremo di protesta, si immolano per la causa. Il libro esplora il conflitto tra tradizione e modernità e l’oppressione subita dal popolo tibetano.

La domanda finale che viene posta a Demick è stata circa la reazione dei tibetani all’uscita del suo libro: lei pensava che sarebbe stata considerata una sorta di appropriazione culturale, ma è rimasta piacevolmente stupita dallo scoprire che il popolo tibetano era rimasto estasiato da questo progetto, in quanto la storia del Tibet non è globalmente diffusa. La conclusione è un appello al pubblico affinché si possa dare più spazio mediatico alla situazione dei tibetani, che si trovano in una condizione sociale drammatica.

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