16 maggio 2025, Cronache, Salone del Libro 2025

Sentirsi scomparire


Irene Matilde Ughelini e Lorenzo Morelli

Liceo L. Ariosto - Ferrara

Se improvvisamente tutti i Palestinesi scomparissero, che cosa accadrebbe? È una prospettiva distopica o un futuro prossimo all’avvenire?

Da questo dilemma Ibtisam Azem, nota scrittrice e giornalista palestinese, elabora l’idea per Il libro della scomparsa (Hopefulmonster, 2021), che è stato discusso insieme alle relatrici Paola Caridi e Claudia Durastanti all’incontro del 16 maggio 2025 presso la Sala Bianca del Salone del Libro.

L’opera dell’autrice non rientra con precisione in un solo genere letterario: durante l’evento è stato evidenziato il fatto che la storia narrata, sebbene sembri a primo impatto solamente una distopia, racconta una realtà basata su fatti storici spesso trascurati, collocandosi più appropriatamente tra le sottocategorie della speculative-fiction e della fiaba morale.

Gaza è una città con millenni di storia alle spalle, sempre vista sia come un porto sicuro per chi lo ricercava che come una terra ricca di cultura e scambi. Ci sono voluti decine di secoli per costruire la sua grandezza, ma solo pochi anni per distruggerla. Dall’inizio del genocidio i Palestinesi non solo hanno abbandonato le proprie case, cedendo gradualmente sempre più territori a Israele, ma hanno dovuto rinunciare anche alla loro identità culturale, che viene continuamente scoraggiata e occultata dall’oppressivo controllo della potenza nemica. La memoria di un passato che può esistere unicamente nelle menti di chi l’ha vissuto viene trasmessa soprattutto grazie al linguaggio, sia verbale che scritto. La letteratura, secondo Ibtisam, ha questa capacità: riesce a valicare i confini di ciò che non si può dire e ad aprire gli occhi a un mondo che, altrimenti, sarebbe cieco.

Un classico che la stessa scrittrice ha menzionato in relazione al suo libro è proprio Cecità di José Saramago, che, allo stesso modo, presenta allegoricamente l’ipocrisia che la nostra società dimostra di fronte a circostanze così urgenti. La vista in entrambi i libri è una metafora della coscienza e della consapevolezza di ciò che ci circonda, che è in primo luogo un dovere. Possiamo ricordare questa responsabilità riprendendo le stesse parole che un personaggio del libro di Ibtisam rivolge a sua nonna: “Dovevo imparare a vedere quello che vedi tu”.

L’autrice ha rimarcato quanto sia importante evitare che la parola guerra si rimpicciolisca, che venga usata con fin troppa leggerezza.

Per concludere l’evento, riprendendo il tema del Salone di quest’anno, è stato lanciato un messaggio accorato: Le parole tra noi leggere devono cadere pesanti”.

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