Cronache, Dedica Pordenone 2022

Scenari del Mediterraneo: identità e culture


Elena Lodi, Beatrice Bettin, Liceo M. Grigoletti


In data 10 marzo 2022, presso il Convento di San Francesco di Pordenone si è tenuta la conversazione con Manlio Graziano, a tema: “Scenari del Mediterraneo: identità e rotture”, condotto da Cristiano Riva. L’incontro aveva l’obiettivo di inquadrare gli aspetti più significativi della storia del Mediterraneo, mettendone in luce la curiosa e permanente complessità.

Quali possono essere stati i principali momenti di centralità nella storia del Mediterraneo? È la domanda che ha dato inizio alla conferenza. Manlio Graziano, scrittore e specialista di geopolitica, ci scherza un po’ su: per poter dare una risposta completa non basterebbe un corso universitario. Il Mediterraneo, vero e proprio continente, culla di civiltà come quella Fenicia e quella Greca, spettatore della nascita e dell’ascesa di Roma, che ha visto l’impero romano d’Oriente e l’impero romano d’Occidente cambiare la storia dopo la conquista araba, pretesto delle crociate, nate per togliere agli arabi il monopolio sul mare nostrum. E ancora, di fondamentale importanza, la sua posizione strategica come via di comunicazione con le zone più ricche del mondo come India e Cina: grazie alla Via della seta il Mediterraneo ha da sempre avuto (e ha tutt’oggi) il controllo monopolistico nei commerci con l’Oriente. Questa situazione comportò inevitabilmente scontri per la conquista degli strategici territori, che furono controllati, dopo l’egemonia araba, in particolare dagli inglesi, che in questo modo si misero in stretto contatto con l’India, gioiello della corona. Il controllo delle rotte, quello che persiste ancora nei giorni nostri, è stato sottratto in parte agli inglesi da America e Russia, nuove potenze che smantellarono i domini coloniali europei nel Mediterraneo. Da non dimenticare poi la rivalità tra Francia e Inghilterra nell’800, le due guerre mondiali e in particolare la fine della seconda, che ha posto definitivamente fine agli imperi coloniali a seguito dell’avanzata Russa e di quella Americana. È stata questa avanzata a creare tante piccole potenze militari non auto-sufficienti in Europa, che ha convinto gli americani e non solo, anche a seguito del crollo per sovraesposizione militare dell’Unione Sovietica, di vivere in un mondo unipolare controllato da loro. La seguente manovra politica è stata però di uno studiato ritiro dalle zone a loro non avvezze, come l’Afghanistan, mentre la Russia si è organizzata con un programma militare atto a destabilizzare le basi delle potenze con cui è in competizione per distogliere l’attenzione dalla sua effettiva impotenza militare, causa la caduta dell’URSS e disorganizzazione del potere al seguito.

La discussione si è poi spostata sui paesi che adesso stanno subendo gli effetti di guerre sul confine del mare: i paesi medio orientali. In particolare sotto l’aspetto religioso e geopolitico, si è parlato a lungo delle dinamiche che stanno muovendo l’Islam e in particolare le sue due fazioni, sciita e sunnita. Dunque, fin da subito lo studioso ha precisato che le continue e estreme semplificazioni di questo argomento inducono ad alterare la reale situazione attuale. Indubbiamente, come testimoniano anche molteplici altri conflitti nel corso della storia, la religione è usata nelle guerre come pretesto, come strumento e non come autentica causa (e questo anche perché le truppe vengono molto spesso spinte a combattere a nome della loro fede). Gli avvenimenti che tutt’oggi dominano questi territori, derivano da una fusione degli interessi più diversi, e a seguito di ciò non si possono identificare nettamente schieramenti sciiti e schieramenti sunniti. Un esempio tra i tanti è lo sciismo iraniano e quello iracheno, che nonostante appartengano alla stessa fazione e dunque seguano gli stessi presupposti ideologici, hanno molteplici disaccordi politici. La stessa situazione si presenta con Emirati Arabi e Arabia Saudita, che sebbene facciano parte dello stesso ramo estremista del sunnismo, giocano partite politiche differenti per differenti interessi. La strumentalizzazione della religione in Oriente è stato un metodo utilizzato anche nelle drammatiche vicende tra Curdi e Iraq del Nord: per quanto entrambi sunniti, i Curdi, in particolare sotto il regime di Saddam Hussein, hanno subito una vera e propria repressione per il tentativo di ottenere l’indipendenza nel loro territorio. Quando dopo la caduta del leader i Curdi hanno fatto il loro ritorno, la speranza di un ritorno al califfato ha motivato le truppe a combattere per far nuovamente fronte alla minoranza.

Il relatore ha poi domandato al docente perché gli Americani si fossero in primo luogo spinti in Iraq o Afghanistan, rifacendosi all’idea di politica unipolare che si ha dell’America, che forse agisce per motivi economici o solo perché accecati dai loro ideali di libertà. La risposta del professor Graziano è stata tanto dura quanto concisa: gli Americani si sono comportati esattamente come gli Inglesi nell’epoca coloniale. Sicuri nella convinzione di essere imbattibili si sono spinti oltre ai loro limiti militari sottostimando il nemico, ‘è una cosa– ha detto il professor Graziano- che fanno dalla guerra fredda, per tutta la durata della quale essi non sapevano davvero cosa fosse il comunismo, ma lo combattevano senza sforzarsi di capirlo perché potevano farlo’. Bisogna tener presente due considerazioni importanti parlando dell’America e delle recenti guerre che ha combattuto: USA e Iran hanno gli stessi obiettivi geopolitici e, in secondo luogo, che anche l’America si rende conto che permettere all’Iran di servirsi di nuovi territori per diventare una superpotenza mondiale è estremamente pericoloso per l’intero sistema mondiale.

Il discorso si è poi spostato in Libia, Nordafrica, che dopo undici anni di guerra è stata definita ancora allo sbando. Manlio Graziano, spiegandone i motivi, esordisce chiarendo fin da subito la ragione della continua instabilità: Stati come Libia sono Stati formati artificialmente dalle potenze colonizzatrici e dunque è normale che non avendo interessi e politica comune, etnie e società diverse, si vengano a creare scontri interni. La situazione tutt’ora presente in questi territori è stata definita da Graziano come situazione pre-leviatano, aggettivo riferito all’ancora presente tribalizzazione nel paese, dominato da ostilità e divisione. Questo stato del paese è tuttavia sostenuto dalle grandi potenze, che schierandosi in posizioni diverse, in un certo senso traggono convenienza da questo conflitto finché non vi è un vero e proprio vincitore. Successivamente si è aperta una discussione su quali potrebbero essere le conseguenze di una Libia aperta a qualunque tipo di traffico commerciale in termini di unificazione del paese, facendo riferimento anche ai contatti con l’Europa. Ebbene, sicuramente l’apertura di traffici illegali porterebbe organizzazioni di stampo mafioso ad alimentare la già presente frammentazione, magari appoggiate da super potenze straniere o spinti da motivi culturali come coloro che ancora sono convinti di combattere per il califfato e di star portando avanti una guerra santa, una jihad, e che compiono atti orribili che li rendono quello che sono, non soldati di Dio, ma assassini, senza porsi domande morali sulle loro azioni.

Per terminare la conferenza la discussione ha proseguito la ricerca verso la definizione di un concetto che potrebbe riassumere l’intero incontro, ovvero islam politico, concetto particolarmente presente nell’alleanza tra Turchia e Qatar, entrambi sunniti. Di che cosa si tratta è facile dirlo: la parola islam potrebbe sviare dalle reali implicazioni del concetto; in realtà molti paesi che esemplificano queste alleanze appartengono a rami religiosi diversi. Quello che più conta sono gli accordi politici ed economici, come ad esempio tra Qatar e Turchia, che condividono molto in ambito geopolitico. La Turchia ne trae beneficio in quanto bisognosa di gas, mentre il Qatar (non avendo particolari vicende storiche) utilizza la rappresentanza, la forza e la presenza territoriale della Turchia per avere un’immagine. Inoltre, le due nazioni hanno una comune avversione contro l’Arabia Saudita, in precedenza, una comune vicinanza e approvazione verso le primavere arabe, oltre ad aver stretto un’alleanza in piano militare.

L’unica domanda dal pubblico, risultato di una chiara e completa esposizione, a smentita della battuta di apertura è stata ‘Come influirà la crisi in centro Africa sull’Europa?’ Purtroppo i conflitti in centro Africa, eredità dell’impero coloniale francese, prima liberato poi sotto il controllo totale dei Russi, che hanno instillato un modello politico in controtendenza al resto dell’Africa, probabilmente non si salderanno mai, e continueranno a esistere, ma non arriveranno mai a minacciare l’Europa direttamente perché militarmente non abbastanza forti.

L’incontro si è concluso con un caloroso applauso da parte del pubblico.

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