Nome Scuola
Città Scuola
Quanto coraggio ci vuole per ammettere di star vivendo una vita non conforme alla nostra volontà? E soprattutto, quanto è difficile far saltare il sistema di valori che caratterizzava il nostro io e remare contro noi stessi per portare un profondo cambiamento nelle nostre esistenze?
Questo è uno dei temi principali presentati all’interno del celebre romanzo “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, un romanzo rivoluzionario e illuminante, che è stato scelto dal Salone Internazionale del Libro di Torino in occasione del progetto “Un libro tante scuole” edizione 2023.
L’opera è ambientata nella torrida estate del 1938 a Lisbona e ci racconta le vicende del giornalista Pereira alle prese con un cambiamento interiore e una presa di coscienza sul mondo, che si fa strada dentro di lui fino a portarlo a un pentimento di dubbia provenienza.
Il protagonista stesso all’interno del romanzo afferma infatti: “Il fatto è che da una una parte io sono contento di aver fatto la vita che ho fatto…però nello stesso tempo è come se avessi voglia di pentirmi della mia vita”.
“Sostiene Pereira” rappresenta dunque una sorta di romanzo di formazione dell’adulto, in quanto Pereira stesso affronta un vero e proprio processo di trasformazione attraverso la sua iniziale passività e distacco dalla realtà fino a giungere a un ribaltamento drastico dei valori che fino a quel momento avevano guidato la sua vita.
La vicenda trattata sembra così richiamare altre due opere letterarie novecentesche in cui i personaggi affrontano questo cambiamento interiore, sollecitato da alcuni eventi particolari, giungendo però a risultati contrastanti.
Primo fra tutti è il capolavoro del letterato inglese James Joyce: “Dubliners”, il cui tema focale è rappresentato dalla paralisi dei personaggi a cui poi si presenta un’epifania, ossia un’improvvisa e banale manifestazione, in grado di richiamare una verità interiore, che i personaggi non hanno però il coraggio di accogliere e coltivare.
La stessa situazione emerge poi anche in una novella pubblicata sul “Corriere della sera” il 22 febbraio 1914 da Luigi Pirandello, che racconta la vicenda dell’impiegato Belluca, un impiegato modello ligio al dovere e concentrato completamente sul suo lavoro, tanto da vivere in una condizione di completo distacco dal mondo.
Si può quindi affermare che i personaggi cardine delle tre vicende vivano inizialmente ricalcando appieno la figura dell’inetto sveviano, guidati da un’insicurezza psicologica che li rende incapaci di vivere completamente e di confrontare le proprie idee con il mondo esterno.
Pereira, pur provando ripugnanza per il regime salazarista all’interno del quale si trova a vivere e operare, non si espone mai a denunciare le violenze a cui assiste e anzi decide di tagliare la politica dalla sua attività di giornalista, occupandosi unicamente della pagina culturale del “Lisboa”, immerso nel solo mondo letterario.
Infatti, spaventato dalle ritorsioni, la sua disapprovazione non si concretizza mai in un’azione di denuncia contro il regime, ma si relaziona solamente con la sua interiorità in cui le sue idee e il suo disgusto trovano sfogo.
Proprio durante una delle sue riflessioni sorge una domanda illuminante, in cui l’intera questione viene riassunta: “In che mondo vivo? E gli venne la bizzarra idea che lui, forse, non viveva, ma era come fosse già morto.”
Questa condizione è però comune a quella di Eveline, personaggio della seconda sezione dell’opera di Joyce, che, chiusa all’interno della sua stanza, rimugina sulla sua vita, ripensa al passato e pur rendendosi conto che il modo in cui ha vissuto fino a quel momento non la appaga, non si è mai sforzata di tentare di cambiare la sua situazione.
Tutte le azioni della ragazza hanno sede solo nella sua testa e non si concretizzano mai se non nel riflettere e dubitare sul fatto di cambiare la sua vita.
Lo stesso si riscontra anche nella novella di Pirandello in cui l’impiegato Belluca vive come dimenticandosi dell’esistenza del mondo, come alienato mentalmente, in quanto si ritrova unicamente concentrato sulla sua “vita impossibile” e piena di impegni, che non gli concede neanche un momento per respirare e contemplare la realtà circostante.
Belluca infatti è sempre puntuale e ligio, lavora fino a tarda notte, mentre vive in una condizione familiare complicata, con dodici persone da sostenere.
Dunque si può notare che la condizione dei tre protagonisti può essere inquadrata nella vita etica disegnata dal filosofo SØren Kierkegaard, ossia una vita di stabilità e continuità basata su una sottomissione al dovere e che conduce come sua destinazione finale al pentimento, complice della successiva volontà di cambiamento dei personaggi.
In tutte e tre le vicende si giunge infatti ad un punto di rottura, un’epifania, una rivelazione, che permette ai personaggi di prendere coscienza di quanto la loro vita sia insignificante, mostrandogli la possibilità di un’esistenza altra.
Un processo già descritto dallo stesso Pirandello parlandoci del “Flusso vitale” che contraddistingue ogni uomo: “In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei doveri che ci siamo imposti e nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto”.
Per Pereira questa esplosione coincide con l’incontro di Monteiro Rossi, un fervente rivoluzionario amante della libertà, a cui il giornalista affida i necrologi per la pagina culturale del “Lisboa”.
Dagli articoli del giovane emerge subito però il suo attaccamento alla vita piuttosto che alla morte, che, insieme ai colloqui con il dottor Cardoso e padre Antonio, influenzerà Pereira ad uscire dalla sua passività e con coraggio accogliere la vita, denunciando apertamente le violenze del regime di Salazar.
L’epifania dell’impiegato Belluca si ritrova invece nel fischio di un treno, che gli mostra la possibilità di un’altra vita al di là della sua pesante e monotona esistenza, facendo scattare una molla di ribellione.
Dopo il fischio del treno, infatti il mondo gli rientra finalmente nello spirito conducendolo alla decisione di tornare al suo lavoro di impiegato ma concedendosi ogni tanto una pausa dal lavoro per confrontarsi con la realtà.
Diversa è invece la conclusione della vicenda di Eveline, la cui passività viene invece interrotta dal suono di un organo che le richiama un ricordo passato e la convince a cercare di uscire dalla sua condizione, ma quando si trova sul punto di compiere il grande passo cade di nuovo nella sua indecisione e la paura dell’ignoto la assale, riportandola nuovamente alla sua condizione di paralisi.
Dunque cambiare vita, nonostante i suoi svantaggi ci siano chiari, non è così semplice come può sembrare, ma richiede una grande consapevolezza e forza d’animo, che non tutti possiedono, ma una volta fatto il grande passo la via verso l’appagamento e la leggerezza è ormai spianata.