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Il titolo del romanzo di Stephen King è un chiaro riferimento al corpo di Ray Brower: il ragazzo morto alla cui ricerca si mettono i quattro amici. Nel romanzo, tuttavia, ci sono molti altri riferimenti al corpo, alla corporeità, alla carne, alle ferite…come se l’autore, attraverso questo “leitmotiv” volesse comunicarci alcuni importanti significati.
Nelle pagine iniziali, ad esempio, si racconta un episodio dell’infanzia di Teddy Duchamp: il padre, un uomo violento e instabile, in un momento di rabbia lo aveva spinto contro la stufa accesa, causandogli gravi ferite e deformazioni all’orecchio. La descrizione cruenta di questo momento ci fa capire fin da subito come le storie familiari dei ragazzi siano segnate da traumi, capaci di lasciare segni indelebili sul fisico e sull’anima.
Gordie, il protagonista, ama scrivere e non è un caso che nelle sue storie ricorrano quasi
ossessivamente i riferimenti al corpo. Nel racconto “Macho City”, ad esempio, si descrive nei minimi dettagli un amplesso amoroso del protagonista con una ragazza. La descrizione è estremamente esplicita: il narratore si sofferma sulle parti del corpo, sulle reazioni e sulle sensazioni provate dai due ragazzi in quel momento. In certi punti il lessico potrebbe sembrare anche volgare, ma in realtà questo non è altro che un modo per raccontare, senza filtri, cosa significhi davvero per un adolescente scoprire la propria sessualità, crescere e affrontare le prime esperienze della vita.
In un altro racconto, intitolato “La vendetta del Lardone Hogan”, Gordie narra di un ragazzo in sovrappeso che veniva preso in giro dai compagni per il suo aspetto fisico e che si vendica, alla fine di una competizione di “mangiatori di torte”, vomitando sugli spettatori.
L’episodio, ricco di dettagli disgustosi, fa emergere un altro tema centrale nella vita degli adolescenti, quello legato all’aspetto fisico. Spesso, infatti, i ragazzi soffrono a causa dei giudizi negativi che ricevono dai loro coetanei e ne soffrono terribilmente.
Il momento culminante della vicenda avviene quando i quattro amici vedono per la prima volta il cadavere di Ray Brower. Non lo vedono subito nella sua interezza perché il corpo era stato dilaniato nell’impatto con il treno; per prima cosa vedono sbucare da un cespuglio una mano. Gordie rimane profondamente colpito alla vista di “quella mano flaccida e protesa, orribilmente bianca, le dita molli e distese come la mano di un bambino annegato”.
Quell’immagine, ci dice il narratore, resterà per sempre impressa nella sua mente. Gordie descrive successivamente il cadavere in tutti i minimi particolari: i piedi scalzi, i capelli rossastri, gli occhi aperti e orribilmente asimmetrici, le chiazze di sangue sopra la bocca e sul mento, il torace gonfio, il volto livido. Il contatto con quel corpo senza vita e già in decomposizione lo sconvolge. In quel momento realizza che quel ragazzo non era “una fantasia” ma una persona in carne e ossa, una persona senza più vita: “Quel ragazzo era morto. Non era malato, non stava dormendo. Non si sarebbe più svegliato la mattina, non gli sarebbe più venuta la diarrea per aver mangiato troppe mele o il prurito per aver giocato tra le ortiche, non avrebbe più finito la gomma all’estremità della sua matita ticonderoga n.2 durante un compito di matematica bello tosto. Quel ragazzo era morto; morto stecchito.”
Quando si incontra la morte da giovani o da giovanissimi, tutto cambia: si smette di guardare il mondo con gli occhi ingenui di un bambino e si inizia a prendere coscienza di cosa significhi davvero la vita.