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Nel libro “Il corpo” di Stephen King, i protagonisti sono quattro ragazzi dodicenni: Gordie Lachance, Chris Chambers, Teddy Duchamp e Vern Tessio. La storia è ambientata nel 1960 a Castle Rock, una cittadina immaginaria del Maine, piccolo e apparentemente tranquillo centro abitato americano in cui la noia estiva e la voglia di avventura spingono i protagonisti a vivere un’esperienza che cambierà per sempre il loro modo di vedere il mondo. Tutto inizia quando Vern scopre per caso la scomparsa di un loro coetaneo, Ray Brower. A quel punto, i quattro amici decidono di partire a piedi per andare a vedere il cadavere. Essi intraprendono questo viaggio per un senso di curiosità profonda e di ribellione, ma anche per la voglia di diventare “eroi”, sperando di finire sui giornali. Il viaggio che intraprendono, però, si trasforma lentamente in un’occasione per confrontarsi con il dolore, con la violenza del mondo adulto e con le proprie fragilità personali. Gordie, che diventerà poi uno scrittore e narratore della storia, ricorda quei giorni con una voce adulta ma malinconica, raccontando non solo l’avventura vissuta, ma anche il contesto difficile in cui ognuno di loro viveva: famiglie problematiche, povertà, abusi e solitudine. Attraverso il cammino nei boschi e il confronto tra loro, i ragazzi scoprono il valore dell’amicizia, il peso delle scelte e l’inevitabile fine dell’infanzia, in un racconto che mostra come anche una semplice camminata per vedere un cadavere possa diventare una delle esperienze più importanti di una vita.
Il romanzo si presenta fin da subito come una storia divertente e allo stesso tempo profonda, raccontata con uno stile semplice ma carico di emozione. Infatti è una riflessione sulla crescita, sull’amicizia e sulla perdita, raccontata con uno sguardo realistico e sincero. Consiglio questo libro a tutti coloro che vogliono riscoprire e ricordare quella fase spensierata e delicata della vita in cui si è ancora bambini, ma già abbastanza grandi da capire che il mondo è ingiusto, che il dolore esiste e che, spesso, bisogna imparare ad affrontarlo insieme ai propri amici, come fanno i protagonisti del libro. In particolare, piacerà a chi ama le storie che parlano di amicizie profonde, dell’adolescenza, dell’innocenza e della realtà.
Una delle frasi più significative del libro, che mi ha colpito profondamente, è pronunciata da Gordie all’inizio del racconto, quando introduce il lettore nei ricordi di quell’estate che hanno segnato la sua vita. La frase è la seguente: “Le cose più importanti sono le cose più difficili da dire. Sono le cose di cui ti vergogni, perché le parole le sminuiscono – quelle cose che ti sembravano gigantesche, finché erano nella tua testa, le parole le rimpiccioliscono quando le tiri fuori, le riportano alle dimensioni originali. Ma non è solo questo il problema, no? Le cose più importanti stanno troppo vicine al punto in cui è sepolto il tuo cuore segreto, sono indizi su una mappa del tesoro che i tuoi nemici non vedono l’ora di rubare. E così capita di rivelare una storia dolorosa a qualcuno e quello ti guarda con aria strana, non capisce ciò che hai detto o si chiede perché ti sembrasse tanto importante da metterti quasi a piangere mentre la raccontavi. Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando un segreto resta chiuso dentro non perché manca la voce per raccontarlo, ma perché mancano orecchie per capirlo.”
Gordie dice questo passo, tratto dal romanzo, in un momento di riflessione profonda, come introduzione al suo racconto, e serve a spiegare perché abbia deciso di scrivere e ricordare quella vicenda solo da adulto. È una frase che parla della solitudine che si può provare anche da giovani, e del bisogno di essere ascoltati e compresi. Gordie ci sta dicendo che alcune esperienze segnano così a fondo che parlarne non è sufficiente a farle capire, perché il vero ostacolo non è la difficoltà nel raccontarle, ma la mancanza di chi sappia davvero ascoltarle. Questa frase è importante perché racchiude la vera essenza del romanzo, ovvero la fatica di crescere, la paura di esporsi, e il desiderio di condividere ciò che li ha cambiati, anche se il mondo non è sempre disposto a comprenderli. Ho scelto la canzone “Summer of ’69” di Bryan Adams per rappresentare questo libro, perché in primo luogo la ascolto spesso e inoltre conosco il significato della canzone. Infatti, essa racconta di un’estate indimenticabile, fatta di emozioni forti, libertà e amicizia, che però, col passare del tempo, diventa un ricordo lontano e malinconico. Se questo libro fosse una serie TV, somiglierebbe vagamente a “Stranger Things”, con le sue avventure di gruppo, i legami profondi e quella parte coinvolgente di mistero. Mentre, se fosse un film, lo assocerei direttamente a “Stand By Me – Ricordo di un’estate”, che infatti è tratto proprio da questo romanzo, e riesce a restituire con le immagini tutta la malinconia di una storia, in cui i protagonisti si accingono a diventare grandi.