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Quando ho saputo che avrei dovuto rileggere “Il corpo” di Stephen King ho pensato a quanto questo libro abbia impattato sulla mia vita: infatti sia “Stagioni Diverse” come raccolta di romanzi, sia la famosa canzone o il film di questo “novel” sono un qualcosa che spesso mi trovo a rileggere, ascoltare o guardare.
“Il corpo” parla della crescita, della fine dell’infanzia, e della malinconia del diventare adulti, e lo fa attraverso l’avventura per la ricerca di un corpo di un ragazzo, sia per divertimento che per provare a cercare un po’ di gloria.
Ritengo “Il corpo”, assieme a “Il Piccolo Principe”, una delle mie letture preferite, proprio per questo senso di malinconia che entrambi ti fanno provare anni dopo che li hai letti per la prima volta, proprio quando ti sei reso conto di essere diventato o di star divenendo uno dei “grandi”.
Il libro è ambientato alla fine dell’estate del 1960 a Castle Rock, una cittadina inventata dal genio di King e situata nel Maine. “Il corpo” racconta il viaggio di Gordie Lachance, Chris Chambers, Vern Tessio e Teddy Duchamp, quattro amici di tredici anni, che decidono di seguire una linea ferroviaria per trovare il cadavere di un ragazzo scomparso. Questa avventura sarà il loro definitivo passo dall’infanzia all’adolescenza, passo che tutti abbiamo affrontato e perciò è facile immedesimarsi.
La cosa che mi ha colpito e che mi è anche piaciuta di più è l’effetto nostalgia che King riesce a creare. Non è una nostalgia “finta”, costruita: è quel tipo di malinconia che ti prende quando ti rendi conto che certi momenti li hai vissuti una volta sola, e che non torneranno mai più, quando ti rendi conto che fino a pochi anni fa eri alle medie a giocare alla PlayStation e ora non hai neanche il tempo di guardarla, quel tipo di nostalgia e malinconia perché stai finendo la scuola e poi sarai tu, solo contro il mondo.
King è un vero maestro in ciò, in quanto ti riesce a far provare questa nostalgia nonostante la storia sia ambientata sessantacinque anni fa.
Io di frasi preferite non ne riesco a scegliere una rispetto all’altra tra queste due:
“Eravamo sulla soglia di quell’età in cui i bambini si trasformano in giovani uomini, e nessuno di noi sapeva esattamente quando sarebbe successo.”
E forse la più famosa di tutto il libro
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, chi li ha?”
La prima frase viene detta nella prima parte del romanzo, mentre i ragazzi camminano lungo i binari. Gordie pensa su come stiano inconsapevolmente passando dall’infanzia all’età adulta, senza sapere esattamente quando o come succederà; mi piace pensare che capiranno di non essere più bambini, ma ragazzi, nel momento in cui troveranno il corpo e la loro emozione principale sarà un misto di tristezza e pietà. Questo è uno dei momenti più intensi in cui si sente forte la malinconia del cambiamento.
Sulla seconda Gordie penso ci faccia commuovere tutti, perché ci fa tornare bambini; io per fortuna devo dire che i miei amici attuali sono gli stessi da una vita, ma Gordie ha ragione perchè, nonostante abbia mantenuto gli stessi amici, alcuni si sono allontanati, con altri ho litigato o nel caso più triste semplicemente li ho visti un’ultima volta e poi dopo anni non gli dite nemmeno “ciao!” se ci incrociamo per strada. Ahimè, è la vita.
Se questo libro fosse una canzone, sarebbe “Stand by Me” di Ben E King: perché anche per chi non capisce le parole ti fa provare la sensazione di un fine estate di quando eri bambino. Se il libro è piaciuto, o magari non lo si vuole finire, consiglio di vedere “Stand by Me – Ricordo di un’estate”; il film, tratto dal romanzo, è uno di quei pochi casi di rappresentazione degna di un libro sul grande schermo.
molto bello ed emozionante
Ritengo questo libro molto importante per noi adolescenti perché tratta temi come l’amicizia e le avventure tra ragazzi.