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“Sostiene Pereira” è un romanzo breve ma incisivo, civilmente impegnato e di scorrevole lettura, terminato da Antonio Tabucchi nel 1993.
L’ambientazione è quella del Portogallo della dittatura di Salazar. In particolare il romanzo si svolge negli anni ’30, età contemporanea alla Germania nazista di Hitler, all’Italia fascista di Mussolini e alla Spagna nazionalista di Franco.
Pereira è un ex giornalista di cronaca nera arrivato alla soglia della mezza età, vedovo, grasso e cardiopatico, che nel fiore degli anni era stato atletico e prestante, innamorato di una ragazza bella e piacevole che poi aveva sposato. Solo anni dopo ella si era scoperta malata e, infine, era morta, lasciando Pereira nella solitudine e in un doloroso lutto che egli non è mai stato in grado di accettare e superare, tanto da continuare a condividere i propri pensieri e le proprie giornate con il ritratto della moglie appeso in soggiorno, ritratto dal quale si illude di ricevere una risposta nella forma di un “sorriso lontano”.
Rimasto vedovo, Pereira si è abbandonato a sé stesso e alla propria inerzia, continuando a vivere nel ricordo della sua vita passata, ossessionato dal pensiero della morte.
Dall’esser un attivo cronista, passa a dirigere le pagine culturali di un modesto giornale del pomeriggio di ispirazione cattolica. Si occupa prevalentemente di tradurre opere di letterati francesi dell’Ottocento e di scrivere necrologi anticipati ai grandi scrittori del suo tempo, nell’eventualità che muoiano da un momento all’altro.
Pereira non si interessa di politica. Sa che atrocità vengono commesse ogni giorno, lo vede dal massacro degli alentejani insorti o dalla distruzione della macelleria ebraica non lontana da casa sua, ma non se ne cura più di tanto.
Nonostante sia un giornalista, non è mai al corrente delle notizie sulla guerra civile in Spagna, verso cui il Portogallo ha inviato delle truppe a sostegno di Francisco Franco, non dimostra di conoscere le barbarie del regime di Salazar. Emblematica e ricorrente la battuta del cameriere del Café Orquídea, Manuel, che risponde al “Che notizie ci sono?” di Pereira con: “Se non lo sa lei, dottor Pereira, che sta nel giornalismo…”.
La stampa è strettamente controllata, la censura del regime non lascia trapelare sui mass media portoghesi le notizie “scomode”, dunque queste non vengono riportate sui giornali. Semplicemente le voci corrono e per essere informati bisogna chiedere nei caffè. Ascoltare le chiacchiere è l’unica maniera per essere al corrente, oppure comprare qualche giornale straniero in qualche rivendita, ma i giornali stranieri, quando arrivano, lo fanno con tre o quattro giorni di ritardo. È inutile cercare un giornale straniero, la cosa migliore è domandare, ma Pereira, il più delle volte, non ha voglia di domandare niente a nessuno. La sua vita indolente e remissiva viene tutt’un tratto stravolta dalla conoscenza di un giovane neolaureato, Monteiro Rossi, e della sua compagna, Marta.
In Monteiro Rossi, Pereira scorge le caratteristiche che un tempo gli appartenevano: attraente, disinvolto, spontaneo e, soprattutto, pronto ad esprimere criticamente la propria opinione sulle ingiustizie del tempo presente. Pereira lo assume come apprendista in prova per il suo giornale e, benché più volte cerchi di negarlo, vede nel ragazzo il figlio che non è mai riuscito ad avere e l’anima sovversiva del giovane lo scuote dal torpore della sua vita passiva.
Dal suo dottore della clinica talassoterapica nella quale si fa ricoverare per una settimana, il dottor Cardoso, Pereira apprende la teoria di Théodule Ribot e Pierre Janet della “confederazione di anime”, secondo cui la personalità è una coorte di varie anime che si pone sotto il controllo di un io egemone, un’anima più forte e più potente delle altre, che rappresenta il nostro essere per come si presenta. Qualora, a seguito di un fattore scatenante, sorga un altro io più forte del precedente io egemone, codesto io spodesta l’io egemone e ne prende il posto, fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io ancora.
Il romanzo si presenta, dunque, come la storia di come un nuovo io egemone che si impone nella confederazione di anime del protagonista, spingendolo a riconsiderare la propria vita che, vissuta così mollemente e priva di reazioni, semplicemente non ha significato.
Nel corso del romanzo, le parole di una signora ebrea incontrata su un treno, la signora Delgado, del suo parrocco, padre António, e del dottor Cardoso, unite ad una serie di vicissitudini con amaro finale, spingono il protagonista a prendere consapevolezza e ad assumere finalmente una ferma posizione sulle efferatezze e violenze perpetrate dal regime. Pereira, così, rischia la vita, ma è questo il solo modo per attribuirle un senso, per vivere davvero.
“Sostiene Pereira”, “Pereira sostiene”, sono le espressioni che accompagnano il lettore per tutto il racconto, trasmettendogli la sensazione che l’intero libro sia la testimonianza, dettata parola per parola dallo stesso Pereira, di come quest’ultimo sia uscito dalla spirale di indifferenza nel quale vorticava e abbia smesso di soggiacere al regime, prendendo le redini della propria vita, esprimendo deciso la propria opinione, difendendo coraggiosamente ciò che egli ritiene giusto.
“Sostiene Pereira” offre un insegnamento e una vicenda esemplare validi al di là dei tempi nei quali è ambientato. È un romanzo che porta il lettore a vivere più attivamente e criticamente gli avvenimenti del suo tempo.
L’indifferenza e l’apatia sono i tarli di ogni democrazia e questo libro, se letto e interiorizzato con spirito critico, vuole essere, nel piccolo di ogni individuo, la cura per una democrazia tarlata o l’agente di stabilizzazione per una democrazia solida.
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