16 maggio 2025, Salone del Libro 2025

Perché l’italiano? Storia di una metamorfosi


Chiara Iezzi

Liceo M. Grigoletti - Pordenone

Oggi, a distanza di 25 anni dalla nascita del ciclo L’autore invisibile, un’iniziativa del Salone del Libro dedicata alla traduzione e alla sua importanza, si è tenuto l’incontro con Jhumpa Lahiri, scrittrice e traduttrice che ha vinto il premio Pulitzer nel 2000.

Di origini bengalesi, ha intrapreso un percorso tutto nuovo con la decisione di scrivere in italiano. Il suo è stato un passo faticoso, perché ogni volta che si intraprende una nuova strada è necessario gettare alle spalle una parte di noi, così come avviene nel mito di Deucalione e Pirra. “Mi ha dato la libertà di scrivere in una lingua in cui non ho infanzia”, racconta, e così giustifica la sua scelta di scegliere proprio l’italiano.

“Non ho una casa, nel senso profondo, e va bene anche questo”, afferma, eppure ha sentito l’esigenza di una metamorfosi, di un cambiamento, di gettare le idee su carta e fargli prendere vita. In fondo, le lingue non appartengono a nessuno, o diverrebbero anch’esse questione di potere: non ne esiste perciò una “nostra”, una che ci appartiene davvero.

Tradurre è un leggere che scrive”, racconta, per spiegare come tenti di dare autenticità al proprio lavoro, trovare le parole che possano trasmettere l’identità del brano originale. Il suo è un processo a tratti violento, che implica il doversi davvero calare nelle parole e nella personalità dell’autore, l’unico a possedere una vera prima copia del manoscritto, un “testo interiore” che solo lui conosce.

Il lavoro di una traduttrice è dunque quello di ricercare un “doppio sguardo che è tutto, è vita”, una visione delle lingue non al singolare, ma valorizzandole in tutte le loro pluralità.

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