Le migrazioni dei rifugiati sono processi lunghi e difficili, ma non spesso si sente parlare di quelle delle persone transessuali. Gli immigrati, spinti a lasciare il proprio Paese d’origine contro la loro volontà, alle volte devono affrontare procedure di accoglienza burocratiche interminabili. Ma cosa accade a chi è nel bel mezzo di una transizione di genere? A raccontarci la sua esperienza è Mazen Masoud, attivista trans libico e presidente del MIT (Movimento Identità Trans) durante l’incontro di domenica 1 ottobre al festival di Internazionale. Al momento del suo sbarco, Mazen ha dovuto affrontare un’accoglienza complicata, a causa della mancanza di strutture specifiche per l’aiuto di persone trans: registrato donna nei documenti, all’apparenza uomo, ha dovuto rinnegare la propria identità davanti alle autorità per ricevere l’assistenza di cui aveva bisogno.
Dal suo arrivo, il sistema di ospitalità della comunità LGBTQ+ in Italia è progredito notevolmente: dal MIT sono state aperte strutture specializzate, come Casa Caterina, la prima in Europa che si occupa dei bisogni specifici di rifugiati trans. Qui lavora un’equipe di professionisti, tra i quali operatori sociali, mediatori linguistici, assistenti sanitari e in aggiunta un operatore alla pari, una persona trans che condivide lo stesso passato di uomini e donne a cui presta aiuto.
«Noi trans siamo migranti in tutti i sensi, migranti di genere e in genere, verso un corpo più nostro, verso un paese più familiare, verso una terra meno ostile».