“L’arte di parare”, l’autobiografia dell’ex portiere Stefano Tacconi, è un libro che va ben oltre il calcio. Racconta il percorso umano e spirituale di un uomo che ha vissuto due vite: la prima da sportivo e la seconda da sopravvissuto. Il racconto non è solo un tributo alle sue straordinarie abilità sportive, ma un viaggio intenso dentro l’abisso della malattia, del coma e della rinascita. Il libro si apre con il racconto di un evento tragico e improvviso: il giorno dell’ictus. Tacconi si trovava ad Asti, la mattina di un evento benefico per le figurine Panini, quando avvertì un forte mal di testa. Nonostante il malessere, decise di proseguire con la sua giornata, accompagnato dal figlio. Ma quel mal di testa era il segnale di qualcosa di molto più grave. In un istante, Tacconi fu colpito da un ictus che lo gettò in coma per un mese e mezzo. Durante quel lungo periodo di incoscienza, la vita del portiere sembrava sospesa in una bolla. La forza di volontà, che aveva sempre caratterizzato la sua carriera sul campo, si trasformò in una spinta verso la sopravvivenza. Nonostante il coma, nel profondo del suo essere, lottava per ritornare. Il libro descrive questi giorni di buio come un periodo in cui, pur essendo fisicamente immobile, il suo spirito non si arrendeva. Si susseguivano anche tentativi, apparentemente inconsci, di fuga dal reparto, forse un modo simbolico per manifestare la sua volontà di non arrendersi alla malattia. Il percorso di ricovero e di recupero di Tacconi si è sviluppato in quattro luoghi principali: Asti, dove cadde in coma, Alessandria, dove venne inizialmente ricoverato, Milano, dove fu sottoposto a terapie sperimentali, e San Giovanni Rotondo. Qui, l’ex campione ha subito interventi delicati, tra cui uno al cervello e uno all’arteria femorale, mentre il suo corpo e la sua mente ricominciavano a funzionare, passo dopo passo. Il suo recupero è stato lungo e doloroso, ma anche illuminato da momenti di grande umanità. In ospedale, Tacconi strinse amicizia con altri pazienti, creando un legame profondo con chi stava condividendo con lui quel difficile cammino. Le pagine del libro sono intrise di riconoscenza verso coloro che lo hanno aiutato e supportato, ma anche di una nuova consapevolezza: la fragilità umana, che durante la sua carriera di calciatore sembrava lontana, si era mostrata in tutta la sua forza devastante. Tacconi racconta di aver imparato nuovamente a parlare e a camminare, riconquistando con fatica ciò che sembrava perduto per sempre. Ma la sfida più grande è stata probabilmente quella di ritrovare la memoria: pezzi del suo passato, eventi e persone riaffioravano lentamente, come frammenti di un puzzle da ricostruire. Attraverso questo processo di riabilitazione, Tacconi ha ritrovato se stesso, ma in una versione nuova, più consapevole della propria vulnerabilità. Il libro non è solo un inno alla forza di volontà e al coraggio, ma anche una riflessione profonda sul senso della vita e del tempo. L’ictus ha segnato un prima e un dopo nella vita di Tacconi, spingendolo a rivedere le priorità, a godere delle piccole cose, a vivere una seconda vita. Nonostante le difficoltà, emerge una nuova serenità, una forza interiore che gli ha permesso di affrontare un percorso così impegnativo.
In “L’arte di parare”, Tacconi non è più soltanto il portiere che ha parato i tiri impossibili, ma l’uomo che ha saputo parare il colpo più duro della vita: la malattia. E in questo, ha trovato la sua più grande vittoria.