Marilynne Robinson, considerata leader spirituale della letteratura moderna, racconta al Salone del Libro di Torino il suo ultimo libro, Jack. È il quarto di una saga che narra la vita turbolenta del reverendo John Ames e della sua famiglia nel secondo dopoguerra, dove i diritti civili sono ancora una battaglia in corso. Caratteristico delle opere di Robinson è l’approccio atipico al tema religioso. Spesso il pubblico, quando si parla di sacralità, si aspetta la narrazione di eventi ben conosciuti e stereotipati, con una forte polarizzazione del bene e del male. L’autrice, invece, si avvicina più a un’idea propria dell’umanesimo, al misticismo ateo che le permette di analizzare le tradizioni religiose e spronare il lettore a porsi da sé interrogativi pesanti come “Cosa siamo?”.
Robinson ritiene che l’importanza vada data alla vita del singolo, non ai suoi fallimenti, venendo a creare un tacito patto di fedeltà tra i personaggi e l’autrice. Non è necessario l’ottenimento di una qualche grazia divina per avere spazio all’interno della narrazione ed essere accuratamente raccontati dalla scrittrice.
La luce, tema cardine della saga di Galaad, si riversa così su ogni personaggio: Robinson sottolinea come la luce stessa sia il mezzo per accendere e scoprire la bellezza. Troppo spesso non si nota il bello, parte integrante della realtà, la quale si scinde in ciò che percepiamo e ciò che è. «La natura esisterebbe anche senza l’uomo», Dio è visibile in essa per deliziare la percezione del genere umano e il più delle volte siamo noi, colpevoli, a non notarlo, a scivolare sopra le cose grattando solo la superficie e passare oltre.
Questo concetto viene soprattutto evidenziato attraverso la rappresentazione del male nel genere della narrativa religiosa: è forse esso che impedisce all’uomo di notare la sublimità del creato? Questa dicotomia bene-male ha un ruolo ben preciso: la presenza del bene, infatti, scandisce la narrazione e la gonfia di significato. Esso richiede fantasia e attenzione verso la vita.
Ricollegandosi al settecentenario della morte di Dante, la scrittrice parla anche del suo rapporto con il grande padre della letteratura italiana. «Dante mi ha insegnato come usare la lingua per ricercare la bellezza.» Parla quindi di un Dante musicale, elegante, che si pone al servizio dell’umanesimo e «apre il tesoro di ogni lingua vernacolare».
«Mi sono avvicinata all’editoria per caso – conclude Robinson – ma sono sicura che il fascino di trasferire su carta i miei pensieri mi avrebbe portato qua in ogni modo.»