“Non eravamo disponibili a cedere, non c’è stato un momento in cui lo siamo state” sono queste le parole che usa Silvana Pilliu per descrivere la forte motivazione che accompagnò lei e la sorella, Maria Rosa, nei loro trent’anni di lotta contro la mafia.
Silvana e Maria Rosa, fin da bambine, abitavano insieme alla madre in un complesso di palazzi nel centro di Palermo. Finché negli anni ottanta, uno dei capomafia più temuti e rispettati della città, decise di costruire un palazzo in quello stesso luogo. Usando sia la violenza sia la diplomazia, riuscì a espropriare tutte le case nei dintorni. Tutte le famiglie, cedettero al compromesso, le uniche due a opporsi furono le sorelle Pilliu: nonostante il boss mafioso avesse corrotto il comune, riuscendo ad ottenere la licenza di costruzione, decisero di avere fiducia nello Stato, e denunciarono l’ingiustizia. Il palazzo venne costruito comunque, con l’aiuto di altre famiglie mafiose. In pochi mesi le sorelle Pilliu si trovarono ad avere come vicini di casa assassini come Giovanni Brusca, responsabile della strage di Capaci e di aver sciolto nell’acido il corpo di Giuseppe Di Matteo. Silvana e Maria Rosa lottarono con forza per trent’anni, senza abbassare la testa di fronte alle intimidazioni, senza lasciarsi piegare dalla conseguente emarginazione sociale: “La paura di chi si oppone alla mafia non è la mafia, ma che la comunità non riconosca il gesto” afferma infatti il giornalista Pif. Rifiutarono sia la scorta sia il programma di protezione testimoni: “Io non ho fatto niente” racconta Silvana “in esilio ci vanno gli altri, il mio stato deve garantire la sicurezza. Amo la mia libertà.”
Dopo un’estenuante guerra giuridica, le due sorelle ottennero un risarcimento dell’ammontare di settecentottanta mila euro. Tuttavia la confisca del patrimonio del boss da parte dello Stato impedì il saldo di questo: Silvana e Maria Rosa tentarono di rivolgersi quindi agli avvocati per il fondo delle vittime della mafia. Neanche quest’ultimo tentativo però ebbe successo: lo Stato non ritenne lecito considerarle tali.
Ad oggi l’agenzia dell’entrate pretende da Silvana Pilliu il pagamento di una tassa di ventimila euro, il 3% di quel risarcimento che non fu mai pagato. A questo sono volti i proventi di questo libro, che nasce da un’idea di Pif e Marco Lillo. Entrambi i giornalisti raccontano ironicamente delle numerose querele ricevute, per aver dato voce a queste due sorelle: “La prima volta che ho parlato della loro storia è stato nel 2002, in un articolo pubblicato sul Corriere” ricorda Marco Lillo “Ma è solo dal 2008 che è nata l’idea del libro. Pif mi ha chiamato, mi ha detto di essere insieme a Silvana e Maria Rosa e che le cose non stavano andando bene. Volevano che me ne occupassi come giornalista.”
La storia di queste donne, che ebbero il coraggio di non abbassare la testa nonostante il vortice nel quale furono trascinate, intrappolate tra la violenza della mafia e uno Stato incerto, a volte complice, spesso indifferente, è una storia che deve essere raccontata. Ricorda a tutti noi l’importanza del gesto di dire no, l’importanza di non lasciarsi schiacciare, tenendo a mente i valori che fondano uno Stato degno di essere definito tale: “Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no.”
Gloria Anzioso, Nicole Tramontano – Liceo Alfieri di Torino