Nonostante una donna possieda numerose capacità, per dimostrare e veder riconosciuto il proprio valore, deve impegnarsi più di un uomo. È la “sindrome di Ginger Rogers”: fare tutto quello che fanno gli uomini, ma all’indietro e con i tacchi a spillo. È vero, anche nell’ambito informatico e tecnologico.
Negli anni dello sviluppo del software e della programmazione le donne hanno avuto un ruolo rilevante e radicale.
L’autrice Claire L. Evans afferma infatti che la figura della donna lavoratrice costituisce un fattore di romanticismo e che, in particolar modo nell’ambito tecnologico, lo rende più umano consentendo una visione più ampia, focalizzata sulla persona oltre lo strumento. Oggi riconosciamo che Internet (rete tra reti) sia diventato un’occasione di scambio tra reti tecnologiche e umane, il quale è fonte di una conversazione globale. Questo risultato è stato ottenuto grazie alla presenza e alla partecipazione della figura femminile che non ha trascurato il potere della comunicazione, della condivisione e dell’emancipazione di Internet.
Da programmatrici e visionarie negli anni Settanta, le donne sono tutt’ora associate al lato dell’utente, un compito marginale e comune. Infatti una donna in un team di programmatori è spesso sottovalutata, quando invece nel passato faceva parte della maggioranza delle lavoratrici attive in questo campo.
Non bisogna quindi interpretare erroneamente il ruolo e il pensiero di una donna ma decentralizzare l’idea del mito come grande genio maschile, senza perdere di vista l’esperienza collettiva; infatti l’intelligenza artificiale dev’essere percepita come uno specchio profondo per esaminare il passato e per capire chi siamo, non una continua ricerca volta al futuro.