Il canto della sirena
Il suono delle sirene per noi detenuti è sempre stridulo, trapana i timpani, rievoca ricordi spiacevoli e sovente intristisce.
Nelle giornate in cui abbiamo avuto l’onore di conoscere la scrittrice Daria Bignardi abbiamo compreso una cosa importante, ovvero che non tutte le sirene causano dolore. Nella lettura del suo libro eravamo rimasti estasiati dalla descrizione del canto delle turriache sull’isola di Linosa, che rievocano quello delle sirene descritte da
Omero, e sinceramente questo ci aspettavamo dall’incontro con la rinomata giornalista: pur felici dell’approssimarsi di un evento che avrebbe portato una boccata di aria fresca nella monotonia delle
giornate noiosamente identiche, pensavamo che fosse solo lo sfoggio illusorio (il canto di una sirena, appunto) di una persona che aveva talvolta visitato il carcere credendo di comprenderlo fino in fondo.
Invece tutto è stato sovvertito già dalle prime parole della Bignardi, la quale si è presentata affermando che temeva il nostro giudizio più di qualsiasi altro poiché i veri esperti della materia eravamo noi e per quanto una persona possa cercare di immedesimarsi non potrà mai comprendere il carico di sofferenza di colui che a torto o a ragione perde improvvisamente la libertà, la famiglia, la casa, il futuro, la giovinezza e sempre più spesso la sua stessa vita.
Siamo rimasti tutti spiazzati: anche i più facinorosi, che avevano preparato domande al vetriolo su aspetti che magari nel testo erano stati trattati marginalmente o del tutto omessi, hanno compreso quel che in cuor nostro speravamo, cioè che il libro era destinato a coloro che vivono oltre il muro e non alla popolazione carceraria,
l’obiettivo era quello di far guardare alla persona e non al reato, di far comprendere che la giustizia non deve essere vendetta legalizzata.
Abbiamo iniziato così a far domande volte ad approfondire gli aspetti che avevano tracciato un solco nell’anima durante la lettura del libro. Ad onor del vero il testo è stato letto da noi detenuti ben due volte nell’ambito dei corsi di lettura indetti dall’associazione “Liberi dentro”: la prima ci aveva permesso di conoscere ed apprezzare il testo, la seconda di approfondire la molteplicità di citazioni e di personaggi presenti nel libro e ci ha offerto l’occasione per leggere tutti gli altri testi scritti dalla Bignardi o citati dalla stessa per essere preparati in ogni sfaccettatura dell’incontro.
Ovviamente ogni detenuto corredava la domanda facendo un breve cenno al bagaglio personale, alcuni avevano vissuto in prima persona gli episodi di abuso descritti nel libro, altri erano stati testimoni di alcuni fatti narrati ed altri ancora compagni di sventura dei personaggi citati nel testo.
In quella occasione si è compreso quanto il tempo sia relativo, infatti le due ore destinate all’incontro sono volate via in un battito di ciglia in un luogo dove il tempo sembra fermarsi per infiniti istanti nell’arco di un singolo minuto: ci è sembrato di rivivere le poche ore mensili di colloquio coi familiari che letteralmente subiscono uno
strano fenomeno spazio-temporale facendole sembrare pochi minuti per tutti i partecipanti che invece nel resto della giornata si sentono come colui che sosta in riva ad un lago gettando pietre nell’acqua ed osservando i cerchi concentrici che si perdono nell’infinito portandosi via scampoli della misera esistenza.
Così con estremo e rinnovato entusiasmo siamo rimasti in fremente attesa del secondo incontro di Adotta uno scrittore, nel quale era prevista la partecipazione di una classe del Liceo artistico Soleri Bertoni: nell’ambito del corso di lettura avevamo concordato di fare solo domande costruttive per non avere un impatto negativo sulla
formazione dei ragazzi. In questa occasione Daria Bignardi ha dimostrato ancora una volta la sua umiltà e la sua generosità facendo una breve presentazione e subito dopo privandosi dello spazio a lei dedicato poiché in curiosa attesa del confronto tra detenuti e ragazzi.
Dopo un primo momento di naturale impaccio e disagio le domande da parte degli studenti hanno iniziato a fluire investendo con irruenza coloro che da tempo immemore sono abituati a confrontarsi solo tra di loro, ma il piacere del dibattito veniva oscurato dalla consapevolezza che la propaganda giustizialista ha costruito una cappa di menzogne sul mondo del carcere: nessuno sapeva che non è affatto vero che chi ha l’ergastolo ostativo può uscire dopo qualche decennio o può ottenere un qualsiasi beneficio prima del 9999 (data perfida e beffarda), tutti ignoravano che siamo l’unico paese Europeo ad avere l’ergastolo ostativo, che questo è previsto pure per soggetti che non si sono macchiati di reati di sangue, che esistono persone che si trovano in carcere da 40 o 50 anni senza avere mai ottenuto nemmeno un permesso per visitare i parenti morenti, che da decenni l’Italia viene condannata poiché applica la tortura del 41 bis, così l’incontro si è articolato tra mille complesse spiegazioni e candide domande.
Al termine dell’incontro, dopo un rinfresco offerto dai detenuti e preparato dal biscottificio del carcere, i ragazzi hanno espresso la volontà di intraprendere una corrispondenza coi ristretti e ci hanno lasciato una serie di lettere alle quali gli internati potranno rispondere: inutile dire che ciò è stato accolto con entusiasmo da coloro che hanno sete di comunicare con l’esterno in qualsivoglia modo.
Si è giunti così alla fine di queste straordinarie occasioni di confronto, negli occhi e nel cuore di noi detenuti hanno lasciato carezze che arrivano nel profondo dell’anima, nelle orecchie il canto malinconico di una sirena che riesce a comprendere fino in fondo il nostro dolore!
L’ora DARIA
Nella sua pochezza questo gioco di parole vuol subito chiarire che siamo in carcere e va inoltre detto che le ore che abbiamo trascorso con Daria Bignardi sono state molte più di una.
Il 14 marzo e l’11 aprile l’abbiamo incontrata nel carcere di Saluzzo grazie al progetto Adotta uno scrittore del Salone internazionale del libro di Torino. Da molti anni infatti i volontari che si dedicano alla preziosa offerta culturale ai detenuti del carcere di Saluzzo aderiscono a questo progetto e ci forniscono l’opportunità di
incontrare significativi autori e intellettuali.
Il libro con cui ci siamo confrontati quest’anno è Ogni prigione è un’isola di Daria Bignardi. Non c’è bisogno di presentare Daria, che è una poliedrica produttrice di comunicazione in tutti i media disponibili. Noi detenuti, forse per una nostra spiccata sensibilità sul tema, la ricordiamo, tra le sue molte presenze in radio e in tv, per il
programma Sono innocente, condotto sotto la sua direzione dal giornalista Alberto Matano su Rai Tre tra gennaio e marzo del 2017.
Questo spinoso argomento era affrontato senza false reticenze, raccontando storie di persone arrestate ingiustamente, vittime di errori giudiziari o ingiusta detenzione. Le storie erano raccontate secondo il genere della docufiction, alternando interviste a ricostruzioni filmate.
Gli incontri con Daria qui a Saluzzo sono stati accuratamente preparati dalle docenti volontarie dell’Associazione Liberi Dentro, che hanno resi disponibili per noi tutti i libri scritti da Bignardi prima di quello già citato e ci hanno guidato in un percorso di approfondimento sui temi cari all’autrice.
Da queste letture sono nate considerazioni personali per ognuno di noi che, stimolato dai contenuti delle opere analizzate, ha potuto darne una chiave di lettura originale e individuale. Molto interessante è stato l’ultimo incontro al quale hanno partecipato anche gli studenti del Liceo Artistico Soleri-Bertoni, di una classe
cioè esterna al carcere, che con la loro giovane età hanno espresso punti di vista alternativi e innovativi rispetto ai nostri, dimostrando anche una insospettabile maturità in persone così giovani: siamo rimasti piacevolmente sorpresi dalla loro disponibilità ad incontrarci senza pregiudizi e senza ostilità verso le nostre condizioni e i nostri
vissuti.
Quello che ha reso molto diverso l’evento di cui parliamo rispetto ai tanti momenti di condivisione con moltissimi scrittori che abbiamo incontrato in tanti anni di attività è il fatto che normalmente chi ci viene a far visita non sa assolutamente nulla sul carcere, mentre questa volta Daria, per aver trattato lungamente e intensamente il tema della detenzione e per essere essa stessa una volontaria carceraria, si è rivelata una profonda conoscitrice del carcere e non c’è mai stato bisogno che noi integrassimo la sua visione con commenti aggiuntivi.
Si sono riproposti tutti i contenuti sulle carenze e incongruenze del sistema carcerario e non si è potuto e forse neanche voluto contenere le esuberanze personali delle persone detenute, le quali, per essere state oltremodo represse e inibite nell’esprimere il loro vissuto privato, a volte per anni, quando hanno una minima possibilità di esternare il loro sentire faticano a trattenersi dal debordare nelle loro esposizioni.
Anche grazie al paziente ascolto dei moderatori e degli studenti si è così prodotta una narrazione autentica e intensa che, altalenando tra il patrimonio conoscitivo di Daria, le esperienze dirette dei detenuti e le costruttive domande dei giovani studenti, ha nutrito una collezione di sensazioni e di spunti di riflessione. È così nato un
sentimento di profonda condivisione e di disponibilità all’ascolto, senza inopportuni tentativi di minimizzare le criticità, ma lasciando una porta aperta verso una possibile evoluzione futura ed evitando accuratamente ogni tentazione di lasciarsi scivolare in uno sterile nichilismo.
Sembra utile ricordare come questi incontri tra parti così diverse ma anche così simili della collettività siano il nutrimento più importante per cementare il senso di inclusione sociale e di appartenenza, che sembrano spesso pericolosamente lontani dalle vite dei detenuti.
Sono questi momenti preziosi che ricordano ai detenuti il senso della loro esistenza, almeno per una parte del mondo.