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Annalena – intervento in occasione dell’incontro con Annalena Benini (19 aprile 2024)


Emilio

Liceo Soleri Bertoni -sezione carceraria - Saluzzo

L’opera di Annalena Benini su Annalena Tonelli mi ha subito incuriosito perché anch’io ho vissuto nella stessa regione e mia madre si chiama  Giovanna Tonelli. Alcuni passi poi mi hanno ricordato alcuni momenti molto intensi della mia vita detentiva che dura ormai da 18 anni: anch’io mi sono sentito come l’autrice quando dice “non ero ancora morta ma non ero più viva”, oppure  “dopo aver gridato: non ce la faccio, ce l’ho fatta”.

Uno degli aspetti che rendono questo lavoro letterario così affascinante è che in molti punti si riflette su come i modi di porsi nei confronti della vita spesso non possano essere esattamente definiti e che tra il bianco e nero ci sono infinite sfumature di grigio

Quello che emerge in modo cristallino è la forza e la determinazione di Annalena Tonelli.

L’autrice invece, in modo onesto e sincero, marca la sua distanza da tanta perfezione, assumendo tratti dolcemente umani e quindi spesso contraddittori e altalenanti. Nel leggere questo libro sono stato molto colpito dalla sua sincerità e dalla sua capacità di mettere a nudo le sue fragilità. In queste pagine si percepisce chiaramente la sua sincerità di introspezione psicologica. Quando analizza se stessa e si paragona al marito esprime una disarmante confessione ammettendo che lui “Ha un grande rispetto per la libertà degli altri.  E’ una cosa che ho sempre ammirato in lui, è una cosa nobile che lo rende immediatamente migliore di me”.

Anche nel rapporto con le nonne, ammette “rimpiango il tempo che non ho passato con loro, rimpiango di non aver fatto abbastanza domande ma soprattutto di non essere stata più dolce”.

Molti i passi in cui esprime l’accettazione degli eventi, oltre a pretendere risolutamente di poter esercitare le sue libertà: “ero libera, potevo anche morire”; “Al mio corpo ammalato non importava più niente di me”; “Mi piace molto non conoscere nessuno. Mi piace molto stare da sola”; “In quelle notti ho anche deciso che c’erano persone che non avrei più voluto nella mia vita. Ho visto meglio cosa mi faceva male, lo vedo chiaramente e sono diventata più dura”; “Io debbo stare lontana dal mondo. Sono così tutti pieni di problemi che in effetti non esistono”; “Non tutti viviamo fino in fondo la vita che vorremmo, ma la sopportiamo non essendo capaci di cambiarla, non volendo davvero cambiarla”.

Non è da tutti prendere atto delle proprie inadeguatezze, o almeno di quelle che si ritengono tali: “Adesso non si può più fare finta di niente. Poi chiudiamo il computer e facciamo finta di niente”; “Ammiro chi utilizza la propria vita per aiutare la vita degli altri”; “La  grandezza della libertà di essere per gli altri. E’ per me irraggiungibile”.

Benini azzarda anche dei rimedi alle grandi sfide della vita: “Per sentirsi al sicuro, credevo, bisogna schivare la dismisura del dolore e dell’amore”; “Si può fare tutto anche senza scosse. Si può vivere molto bene anche al riparo delle scosse”; “La vita è anche mancare qualcosa, non riuscire in qualcosa, non colmare la misura fino all’orlo”; “Perché non vuoi essere ciò che sei?”

E’ illuminante la citazione di Donald Winnicott: una donna è tre donne insieme, se stessa, sua madre e la madre di sua madre. All’interno di questo concetto,  che si presta a essere approfondito in molte direzioni differenti, troviamo i rapporti tra le madri e le figlie- tra le quali Tonelli e Benini-, nei loro ruoli duplici o triplici. Preziosa la raccomandazione ad accettare la complessità di tali intensi rapporti familiari, necessariamente contraddittori e poliedrici. Allo stesso modo risulta espresso l’implicito invito a tuffarsi nei contenuti più forti dell’esistenza, come il dolore e l’amore, per vivere i quali fino in fondo occorre superare le paure di sporcarsi le anime. La prudenza, per l’autrice, è sostanzialmente un ostacolo che impedisce di gioire di vite piene, assaporate nei loro tratti più densi di contenuto.

Certo occorre una dote non comune: la capacità di accettare le nostre imperfezioni, di poter subire gli effetti collaterali di tali sentimenti tanto pericolosi quanto sublimi. Alla fine, sembra sussurrarci Benini, per raggiungere il bene, dovremmo assaggiare anche un po’ di male e per le felicità più intense occorrerà essere disposti a pagare una congrua dose di sofferenza. Come sempre, non ci sono pasti gratis, nemmeno parlando dei sentimenti più alti.

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