L’isola di Arturo è un romanzo di formazione scritto da Elsa Morante nel 1957, e racconta della vita del protagonista, appunto Arturo, quindi della nascita, infanzia e adolescenza del ragazzo, dei suoi primi amori e del passaggio dall’essere bambino all’essere adulto. In estrema sintesi si tratta di un viaggio straziante, commovente, dentro un’anima che soffre. La narrazione è ambientata a Procida intorno alla fine della prima metà del ventesimo secolo, si parla quindi del periodo circa la seconda guerra mondiale. Questa ultima informazione viene data solo alla fine del romanzo, dato l’avvenimento della partenza di Arturo da Procida, questa volta definitivamente, per arruolarsi in guerra, a causa dell’ennesimo rifiuto da parte di Nunziata, la matrigna della quale si era profondamente innamorato. La decisione di partire, però, era la conseguenza anche della scoperta, da parte di Arturo, dell’omosessualità del padre, un uomo molto distante dal figlio e che, fino a quel momento, veniva descritto come un eroe e un viaggiatore, nonostante si scopra in seguito che gli unici suoi viaggi erano diretti a Napoli, per andare a trovare il compagno Tonino Stella, relazione che però voleva tenere nascosta forse per vergogna. Ed è proprio questo che ci fa comprendere che la delusione di Arturo non proviene dal fatto che il padre è omosessuale, ma dalle menzogne che gli venivano raccontate fin da quando era piccolo. Dall’illusione da parte di Arturo che Wilhelm fosse un eroe, un’uomo straordinario sempre in viaggio verso l’orizzonte, per poi invece scoprire che l’unica sua meta era appunto Napoli. Leggendo questo libro mi sono soprattutto soffermata sul rapporto quasi inesistente tra il padre e il figlio, e ho compreso quanto, per la crescita, sia importante avere almeno un genitore accanto. Infatti, la mancanza di una persona di tale importanza, può secondo me provocare traumi e mancanze nello sviluppo del bambino. Molte volte capita di vedere i figli trattare male i genitori, cosa che ai tempi in cui è ambientato il romanzo non era concepibile. Spesso non ci accorgiamo di quanto i nostri genitori facciano per noi. Quanti sacrifici, responsabilità e amore hanno in serbo per noi. Dovremmo essere felici per quello che abbiamo, poiché non è così scontato avere dei genitori che svolgano veramente questo ruolo. Il ruolo dei genitori comprende molte cose, in primo luogo quello dell’esempio, della persona a cui dare massima fiducia, della persona a cui chiedere consiglio e di quella che, quando il figlio sbaglia, ha il compito di educare e di far capire al figlio l’errore fatto, in modo che non si ripeta. Questo romanzo mi è piaciuto molto perchè è scritto benissimo, ma anche perché mi ha fatta riflettere su questioni su cui non avevo mai concentrato il mio pensiero: essendomi immedesimata nel protagonista, ho compreso le sue sofferenze, dovute alla mancanza della madre, all’assenza di affetto e di sincerità da parte del padre e dal rifiuto da parte del suo primo amore, Nunziata, compagna di suo padre e madre del suo fratellastro. Nonostante io non sia solita a leggere libri così lenti e introspettivi, posso dire che questa lettura mi ha aperto un mondo che pensavo di non amare, fatto che trovo stupendo. Ho trovato molto affascinante la storia e il modo in cui scrive la scrittrice, penso sia molto scorrevole ma allo stesso tempo ho notato che ogni parola utilizzata nel romanzo sia stata meticolosamente scelta, come se l’autrice cercasse di incastrare ogni pezzo di questo enorme puzzle fino ad arrivare alla perfezione. Ed è proprio questa varietà di linguaggio, il fatto che per ogni particolare venga usato il termine più appropriato, che penso sia veramente importante in un libro, dato che, purtroppo, nella realtà dei giorni d’oggi, forse per pigrizia, non si usi più un così vasto vocabolario.