Una cosa che ti ha colpito
La peste di Camus, come molte opere letterarie, può essere vista come una metafora continua che ha il fine di veicolare un determinato messaggio, evidentemente influenzato dal contesto storico in cui l’autore visse (la banalità di questa affermazione va anche valutata con la conseguenza complementare, ovvero che gli autori puramente originali nel corso della storia probabilmente si contano sulle dita d’una mano).
Se leggiamo la Peste con la consapevolezza di questa metafora ininterrotta allora tutto assume un senso, tutto può essere interpretato e contestualizzato. Se però ci fermiamo allo strato più superficiale (questo ovviamente non dovrebbe essere l’obiettivo) notiamo delle incongruenze, derivate innanzitutto dalla nostra esperienza diretta (purtroppo) del modo in cui si svolge la vita durante i periodi di epidemia, e in secondo luogo (ma questa è solo speculazione) dal taglio analitico-filosofico assunto da Camus nella scrittura del romanzo (se lo possiamo chiamare tale). Notiamo che vengono analizzati aspetti della vita sociale che in teoria durante un’epidemia non dovrebbero nemmeno esistere e che – più in generale – la descrizione della dimensione razionale-burocratica del romanzo pecca leggermente di ingenuità. Detto questo La Peste di Camus rimane un’opera di grande spessore letterario, che è riuscita a far “rivivere” ai lettori il messaggio originale, il vero piano dell’autore: come si viveva sotto i regimi totalitari, cause e conseguenze dell’annullamento dell’uomo e dell’umanità.
Una frase del libro da conservare
L’importante non è che sia un bel modo di ragionare, ma che faccia riflettere.