“Se vogliamo cambiare e crescere, dobbiamo innanzitutto riconoscere da dove veniamo”. In queste parole si racchiude il senso dell’incontro di Ferdinando Cotugno, che venerdì 3 ottobre è stato intervistato dalla giornalista Giulia Zoli al Festival di Internazionale a Ferrara 2025, in merito alla sua ultima pubblicazione, Tempo di ritorno – Una storia di clima e di fantasmi (Guanda, 2025).
In qualità di giornalista climatico, Cotugno aveva l’intenzione di scrivere un libro che affrontasse il cambiamento climatico in modo diverso. Il titolo riflette due sfaccettature di significato: “tempo di ritorno” è, infatti, un concetto che si usa sia in ambito climatico, per indicare la frequenza con cui si ripresenta un evento meteorologico estremo, sia in ambito familiare, nel caso dell’autore per indicare il ritorno alle sue radici e alla sua terra d’origine, Napoli.
Il libro diventa, quindi, un’autobiografia climatica, in cui Cotugno raccoglie diverse testimonianze sul passato di persone comuni nel suo paese di provenienza. Secondo l’autore, infatti, “il cambiamento climatico comincia ovunque nel mondo con l’innocenza di chi non sapeva”. Un esempio che conferma questa sua idea è la scena di apertura, che descrive, in uno scenario industriale, nel quartiere di Bagnoli a Napoli, un’immagine insolita: quella di un gruppo di bambini che, nuotando nel mare, raccolgono del carbone di scarto della fabbrica Italsider, per poi rivenderlo ad alcune pizzerie locali, facendole così risparmiare sulla legna da ardere. Quello che stupisce di questa immagine è la naturalezza e l’innocenza di questo gesto, che per i bambini era quasi un gioco.
Il punto di svolta nel libro, però, è costituito dalla testimonianza della madre dell’autore. Infatti, se il padre non era solito esporsi eccessivamente e raccontare il suo passato, spingendo l’autore a ricercare testimonianze altrove, tra gli abitanti locali, il racconto della madre viene invece definito uno “tsunami di informazioni”, che lo scrittore asseconda. Con le sue parole, è come se si cambiasse angolatura: è stato, infatti, un punto di vista che, a sua detta, ha riscritto tutta la storia del libro e rappresenta l’emblema del patriarcato, del ruolo e della posizione delle donne negli anni del boom economico. La madre era una studentessa molto politicizzata, che poi sarebbe dovuta diventare una professoressa universitaria, fino alla conoscenza del padre, uomo con un’istruzione appena elementare, che, per come funzionava Bagnoli, era più che sufficiente; il futuro degli abitanti del quartiere era basato, infatti, sull’Italsider, e la madre dell’autore, che da studentessa voleva salvare tutta la classe operaia dalla dura vita del lavoro incessante in fabbrica, sceglie di salvare un solo uomo, fondando una ditta di autotrasporti.
Il simbolo che può racchiudere il senso dell’intero libro è quello di un orologio, appartenente al nonno dell’autore, al quale poi è stato donato. Esso rappresenta l’intero capitalismo, che per anni ha condannato, come è successo al nonno di Cotugno, i lavoratori all’alienazione causata dai ritmi incessanti delle industrie, che non si curavano né della salute dei lavoratori, né di quella dell’intero pianeta. Ad oggi della vita florida e prosperosa promessa dalla fabbrica di Bagnoli rimane ben poco: dopo l’abbandono la natura si è ripresa i suoi spazi ma, ciò nonostante, il sentimento di affetto nei confronti dello stabilimento industriale non è mai diminuito, malgrado tutto il male che esso ha portato.
L’autore decide quindi di creare uno scontro intergenerazionale e di mettere in correlazione il problema del cambiamento climatico con quello dello sfruttamento in ambito lavorativo, rivolgendosi alle generazioni adulte passate e chiedendo loro, con una provocazione: “Come stai? Stanco, devi essere stanco. In fondo che cos’è il cambiamento climatico? È la stanchezza di un intero pianeta. Più passa il tempo più sarà difficile far tornare una priorità la lotta contro il cambiamento climatico”.