Il rapporto dello scrittore Domenico Starnone con le storie di Hemingway inizia quando lui è ancora un ragazzo. Così mi racconta in una piccola intervista dopo la sua apparizione allo stand della Stampa al Salone Del Libro di Torino.
Più avanti nel tempo, l’autore americano diventerà addirittura il punto di partenza per il suo l’ultimo libro: “Un vecchio al mare”. La relazione con il classico americano è evidente e durante l’intervista della Stampa Starnone ne approfitta per sottolinearne similitudini e differenze. Entrambe le storie parlano di pescatori, ma quello di Starnone è un pescatore di parole nell’oceano delle persone comuni. Quello di Hemingway è un vecchio solo in apparenza, ma dal suo modo di combattere la bestialità del pesce, si dimostra un uomo nel pieno delle sue facoltà. Al contrario, il vecchio al mare ha più di ottant’anni e affronta a pieno titolo quel periodo della vita noto come “vecchiaia”.
Il romanzo di Starnone, offre alla giornalista lo spunto per domandare all’autore il suo pensiero sull’attualità dell’Italia e dell’Europa, dove il calo demografico è direttamente proporzionale al calo di futuro. Starnone risponde avvalendosi della parola “Senilità”, presa in prestito per l’occasione da Italo Svevo, spiegando che il vero problema si trova nella senilità precoce di chi dovrebbe tenere in mano il mondo oggi, causata dai cambiamenti troppo rapidi che lo caratterizzano e dalla mancanza di mezzi per affrontarlo. Condizioni che, secondo l’autore, fanno sentire le persone nel pieno delle loro facoltà come se fossero già vecchie. Questo le porta a sviluppare un meccanismo di regresso che, come una sorta di difesa dal presente, le fa tendere verso il passato anziché verso il futuro.
“I giovani”, conclude Starnone con tono di speranza, “ci consolano. E ci ricordano che indietro non si può tornare”.