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Una cosa che ti ha colpito
Quel che forse più ci ha colpiti del romanzo di Tabucchi è l’evoluzione del personaggio stesso nel corso dell’opera. Pereira, infatti, è un giornalista che scrive sulla pagina culturale del Lisboa, un periodico portoghese, durante gli anni della guerra civile spagnola e della dittatura di Salazar. Inizialmente, non si espone in nessuna maniera per denunciare le ingiustizie del suo tempo, non sfruttando mai le potenzialità della propria professione. Durante un viaggio di ritorno da una vacanza termale, Pereira incontra sul treno un’ebrea tedesca, di padre portoghese, che tenta di risvegliare in lui un qualche fuoco patriottico. Gli sforzi della donna, però, risultano essere vani, in quanto egli è ancora tormentato dalla paura della polizia statale e della censura. Tuttavia, in seguito ad un secondo viaggio di poco successivo, egli inizia a percepire un cambiamento dentro di sé e pubblica sul giornale la traduzione di un racconto francese patriottico. Tale pubblicazione desta scalpore e Pereira viene molto rimproverato dal direttore. Il vero cambiamento, però, avviene in seguito all’assassinio di Rossi. Pereira, infatti, decide finalmente di prendere parte attiva in società, firmando personalmente un articolo con cui diffonde la notizia delle violenze statali ai danni dell’amico rivoluzionario. Così, colui che prima era un giornalista timoroso, passivo e chiuso in se stesso, ora diviene un attivista coraggioso, che si espone, mosso dall’amore per la giustizia.
Una frase del libro da conservare
“[…] lei ha un forte superego, dottor Pereira, e questo superego sta combattendo con il suo nuovo io egemone, lei è in conflitto con se stesso in questa battaglia che si sta agitando nella sua anima, lei dovrebbe abbandonare il suo superego, dovrebbe lasciare che se ne andasse al suo destino come un detrito”[1]
In questo dialogo è il dottor Cardoso a parlare mentre è seduto a pranzo con Pereira (il quale, per una volta, per timore di ordinare la sua solita omelette di fronte al suo dottore, ha chiesto al cameriere un’insalata di pesce).
La frase, quindi, va conservata come “promemoria”, perché ci ricordi di lasciare andare il nostro vecchio superego, lasciarlo al suo destino come un detrito, per spingerci oltre e cambiare
Se questo libro fosse una canzone
Il primo “se” che affrontiamo è più “astratto” ed è “se questo libro fosse una canzone”.
Per rispondere a questa domanda la scelta è ricaduta sul celebre brano “Don Raffaè” di Fabrizio De Andrè.
La nostra scelta riguarda alcune caratteristiche comuni che abbiamo ritrovato sia durante la lettura del libro sia nell’ascolto della canzone: entrambi i testi raccontano la storia di un personaggio comune, un uomo qualunque che ricopre un ruolo medio all’interno della società, ma che non si espone troppo e non dà nell’occhio, un uomo che rimane all’interno della sua zona di comfort svolgendo il suo lavoro, ma senza mai uscire.
Questo risuona anche nella ripetitività delle parole scelte dai due autori: come tutti i capitoli del romanzo si chiudono con il periodo “sostiene Pereira”, così le strofe della canzone di De Andrè si chiudono con un rimando al caffè, punto centrale dello stesso ritornello, “ah, che bell’o cafè”.
Il personaggio di Pereira dell’inizio si ritrova in una qualche maniera in Pasquale Cafiero, entrambi rimangono neutrali di fronte a ciò che accade intorno a loro, Pereira andando avanti per la sua strada, il brigadiere della prigione quasi addirittura ammirando la situazione del carcere di Poggio Reale.
Se ti è piaciuto il libro, leggi o guarda anche
Il secondo “se” di cui parliamo riguarda più un consiglio per gli appassionati di cinema e amanti del romanzo di Tabucchi.
Qualora anche ad altri fosse piaciuto, come a noi, tale aspetto del libro, l’evoluzione e la conversione del personaggio di Pereira, consiglieremmo di guardare il celebre film The Insider. Diretto dal grande Michael Mann (regista anche di The Aviator), recitato da Russell Crowe e Al Pacino e candidato a ben sette premi oscar, è ritenuto da molti essere una delle più grandi pellicole cinematografiche della storia. Tratto da una storia vera, ripercorre la vita di Jeffrey Wigand, dirigente presso la Brown & Williamson, una delle più grandi aziende americane di tabacco degli anni ‘90. Egli, licenziato dall’azienda, decide di uscire dall’ombra della propria paura e di redimersi dopo aver lavorato in un’impresa tanto ripugnante, concedendo un’intervista di un’ora ad una giornalista della CBS a cui promette di confessare ogni cosa. La Brown, infatti, mentiva circa la composizione chimica delle sigarette vendute. Nuclei centrali del film sono l’evoluzione di Wigand da complice a massimo oppositore del sistema e la sua forza nel lottare per la giustizia, nonostante gli infiniti ostacoli e ripercussioni anche sulla propria vita privata.
Quel che forse più ci ha colpiti del romanzo di Tabucchi è l’evoluzione del personaggio stesso nel corso dell’opera. Pereira, infatti, è un giornalista che scrive sulla pagina culturale del Lisboa, un periodico portoghese, durante gli anni della guerra civile spagnola e della dittatura di Salazar. Inizialmente, non si espone in nessuna maniera per denunciare le ingiustizie del suo tempo, non sfruttando mai le potenzialità della propria professione.