“Tutte”: l’incontro di Giulia Siviero, giornalista laureata in Filosofia politica, con il femminismo avviene in un’aula universitaria grazie a questa parola, che la docente Adriana Cavarero pronuncia rivolgendosi agli studenti presenti. Ne segue un virile brusio e, a questo punto, la docente fa notare che, se avesse detto “tutti”, nessuna si sarebbe lamentata.
Se l’incontro della giornalista di Il Post con il femminismo è nato sul piano teorico grazie ad una parola, il suo ultimo saggio Fare femminismo (Nottetempo, 2024), presentato da lei oggi 4 ottobre al Festival Internazionale di Ferrara 2024, al contrario, rappresenta una raccolta di pratiche femministe. Questo testo vuole trasmettere alle nuove “compagne affamate” come le idee e le parole dei movimenti femministi più radicali siano state declinate in azioni collettive fino ad arrivare all’occupazione degli spazi pubblici con il corpo, che diventa strumento politico; ne sono esempio le suffragette, le Madres di Plaza de Mayo e, ai giorni nostri, il movimento transfemminista Non una di meno, del quale Siviero è attivista.
Teorie, pratiche, parole e azioni, nel femminismo, non possono essere disgiunte; secondo l’autrice, l’unione delle une con le altre è imprescindibile. Per questa ragione critica il nuovo femminismo dei social: virtuale, a-relazionale, fatto solo di slogan, di parole, privo di azione corporea. La rimostranza femminile nelle piazze è, infatti, autentica dimostrazione di rabbia, un’emozione che da sempre è usata per neutralizzare le donne etichettandole come furiose, isteriche, ma che nella protesta diventa forza trasformativa, una leva politica per il cambiamento. La copertina del libro, con la foto di una donna con un passamontagna mentre allatta un neonato, vuole significare la necessità di nutrire questo cambiamento tramite un’opposizione di massa.
Il libro descrive strade creative percorse dai femminismi, con l’intento di indicarne altre da percorrere ancora: il saggio è solo l’incipit di un racconto da continuare a scrivere tutte insieme, servendosi della memoria come sguardo sull’avvenire. La lotta, infatti, non è finita. Gli aspetti più gravi persistono: nei tribunali continuano ad essere poste, alle donne vittime di violenza, domande offensive. Il patriarcato non è un riflesso del passato, ma un problema attuale che va rimosso alla radice.