“Sostiene Pereira”
Una frase, un ritornello, una testimonianza. Un libro.
Tutto ciò sono le iconiche parole presenti all’inizio e alla fine di ogni capitolo. Una ripetizione che, per quanto possa risultare strana e a tratti fastidiosa, permette di esprimere al meglio i dubbi, la trasformazione e la presa di coscienza del protagonista.
È proprio la tecnica narrativa, dunque, che colpisce immediatamente il lettore. Viene meno il classico modo di scrivere, di presentare i personaggi e di farli parlare. Al contrario, sembra quasi una poesia, con una propria musicalità, in cui a far da sfondo sono il dottor Cardoso, Monteiro Rossi e tutti gli altri personaggi del romanzo. Questi non sono molti, ma sono ben delineati sin da subito. Fanno la loro comparsa a turno, con brevi descrizioni e un carattere e degli ideali già definiti che non mutano nel corso della storia, proprio per non distogliere l’attenzione dal loro scopo principale: risvegliare la coscienza di Pereira e ridefinirne il carattere.
Quasi fosse un opera di Freud, Svevo o Pirandello, l’autore riesce quindi ad affrontare l’eterna lotta che avviene all’interno di ognuno di noi, dove le emozioni confinate nell’inconscio emergono, fino a spodestare l’attuale io egemone.
Così Tabucchi struttura il romanzo ed è così che riesce a trasmettere in modo chiaro, semplice e immediato l’importanza che riveste in ognuno di noi la propria coscienza, classificandolo di fatto come romanzo esistenziale e solo dopo come romanzo politico. Tuttavia, come spesso avviene con libri del genere, non vi è un’unica chiave di lettura. Qualcuno, infatti, potrebbe leggerlo in chiave esclusivamente politica, come accadde alla sua pubblicazione quando venne definito un romanzo brezneviano. Qualcun’altro potrebbe vederci invece un romanzo storico. Altri ancora un romanzo di ingiustizia sociale e qualcuno, un romanzo esistenziale.
È proprio qui, allora, che la bellezza di un libro emerge. La capacità di questo di mutare a seconda del lettore. Perché il libro, che può sembrare qualcosa di morto, statico, è proprio la cosa più viva che esista e l’autore, per quanto ci provi o per quanto bravo sia, non potrà mai controllare le emozioni trasmesse. Uno scrittore però potrà sempre lasciare un ricordo, una testimonianza, un’impronta indelebile del passato per il futuro, dando modo a personaggi “in cerca d’autore” di parlare di sé e delle loro storie. Proprio come fece Pereira che, come ci scrive Tabucchi, venne a fargli visita una sera di settembre perché bisognoso di raccontarsi.
Scrivere diviene quindi importantissimo e non bisogna mai dimenticarsi perché lo si sta facendo o perché lo si dovrebbe fare. A tal proposito, una volta Tabucchi disse:
“Si scrive perché si ha paura della morte, o perché si ha paura della vita, si scrive perché si ha nostalgia dell’infanzia, perché il tempo è passato troppo alla svelta. Si scrive per rimpianto o per rimorso, si scrive perché si è qui ma vorremmo essere là, o si scrive perché si è andati là ed era meglio se si restava qui.”
Per concludere vorrei quindi ringraziare il Salone del Libro di Torino e tutte le persone coinvolte che mi hanno, anzi, ci hanno permesso di accedere a questo mondo, di confrontarci con autori e non solo, facendoci diventare dei piccoli scrittori a nostra volta. Grazie a “Sostiene Pereira” siamo infatti riusciti a entrare nella mente di questo particolare personaggio e del suo autore, ad accompagnarlo durante il suo viaggio e a renderlo nostro. Ma soprattutto ci ha permesso di raccontare tutto ciò, partendo dalla lettura del romanzo, attraversando la sua rielaborazione, fino ad arrivare al podcast:
In un alternarsi di emozioni dovute al nuovo ambiente, alle nuove amicizie e al riascoltare la propria voce, Pereira ha così potuto raccontarsi nuovamente, non nella sera di una torrida estate, ma in pieno giorno attraverso noi ragazzi, numerosi autori e a voi lettori e ascoltatori. Perché Pereira, che era partito alla ricerca di un autore, è tornato trovandone un’infinità.