Una cosa che ti ha colpito
Normalmente noi pensiamo all’estate come stagione della libertà: sole vuol dire aria aperta e gioia. Ma che cosa vuol dire ‘estate’ per gli abitanti di Orano, mentre infuria l’epidemia di peste? Questo passaggio mi ha profondamente colpito perché descrive una stagione diametralmente opposta a come la immaginiamo normalmente noi -anche i noi delle epidemie di Covid, per cui l’arrivo dell’estate è sempre coinciso con la decrescita dei contagi e con la “riapertura”. Per gli abitanti di Orano, invece, l’arrivo del caldo è come un vento di morte. Sembra che i fiori non sboccino più e che tutto ciò che poteva nascere sia già nato e ora può – prima o poi – solamente morire. E la cosa più dolorosa è che sembra che ciò valga anche per le donne e gli uomini di Orano, che possono soltanto chiudersi in casa, perché soltanto nel chiuso possono vivere, completamente isolati dal mondo esterno. E’ possibile che qualcosa nasca o viva, senza “i piaceri dell’acqua e della carne”? No. E pare che a Orano uscire di casa significhi fare la stessa fine dei fiori per le strade.
Una frase del libro da conservare
I fiori nei mercati non arrivavano più in bocciolo, erano già schiusi, e dopo la vendita del mattino i petali disseminavano i marciapiedi polverosi. Era evidente che la primavera si era consumata, si era prodigata nelle migliaia di fiori già sbocciati ovunque e adesso si sarebbe assopita, lentamente schiacciata sotto il duplice peso della peste e del caldo. Per tutti i nostri concittadini quel cielo d’estate, quelle strade che sbiadivano sotto i colori della polvere e della noia avevano lo stesso significato minaccioso delle centinaia di morti che ogni giorno gravavano sulla città. Con il sole incessante, quelle ore che hanno il sapore del sonno e delle vacanze non invitavano più come prima ai piaceri dell’acqua e della carne. Suonavano invece nella città chiusa e silenziosa. Avevano sperduto lo splendore ramato delle stagioni felici. Il sole della peste spegneva i colori e fugava ogni gioia.