Una cosa che ti ha colpito
Prima di esporre una fatto che mi abbia colpito maggiormente di questo libro, ritengo di dover specificare antecedentemente quanto ogni singola descrizione ed ogni singolo capitolo di questo libro possa suggestionare e lasciare un particolare segno ad una persona. Principalmente ciò che più mi ha colpito, è la somiglianza e la cura nel descrivere una situazione che equivale a ciò che realmente ci troviamo ad affrontare oggi giorno. La cosa più efficace e verosimile che Camus descrive nel suo libro, è a mio parere la situazione a livello sociale e personale, che caratterizza ogni cittadino di Orano. Come viene descritto a pagina 94, il primo effetto di questa grave epidemia è stato l’obbligo dei cittadini di agire come se non avessero sentimenti individuali, privandoli di qualsiasi scambio di corrispondenza ed isolandoli dal resto del paese. Ciò nonostante ogni cittadino continua a porre in primo piano le proprie preoccupazioni personali, temendo maggiormente la separazione e la mancanza dei propri cari alla morte. I cittadini di Orano sembrano quindi sottovalutare la pericolosità effettiva della malattia nei confronti di se stessi e dei propri cari.
Alcuni per giunta decidono, sostenendo di fare la scelta migliore, di spostarsi dal focolaio non curandosi della rischiosità delle loro azioni. Tra questi vi è uno dei personaggi principali del libro, Raymond. Egli sosteneva che tra i problemi principali vi fosse la lontananza dell’amata. A pagina 114 sembra infatti non riflettere riguardo l’aumento delle morti e delle vite che sono state strappate via a diversi uomini e conoscenti.
Si perde un senso di umanità e di compassione che permetterebbe l’uomo di riflettere con un senso di comunità, sostenendo le norme imposte per provvedere alla sicurezza di tutti, portando alla fine dell’epidemia, ed Orano al suo aspetto originario. Durante un momento simile, dove c’è bisogno di tutta la collaborazione possibile, gli individui prediligono invece la loro sola vita, violando le norme, trasferendosi, non rinunciando ad affollare strade o case di parenti. Vi è quindi secondo Camus, una mancanza di unità sociale e di pietà, per la quale le vite perse delle vittime della malattia sono diventati solamente numeri. Riusciamo quindi a trovare delle similitudini in ciò che Camus scrive, con la situazione odierna. I casi diminuiscono, i numeri diventano pian piano inferiori, o maggiori ed i volti di coloro che in passato erano persone con una loro storia personale, diventano solamente un’anonima unità di misura. Ad inizio pandemia covid-19, numerose persone hanno deciso di trasferirsi, di non abbandonare la propria routine e le proprie frequentazioni, giustamente influenzati dal cambio repentino della loro routine. Con questo libro possiamo rivivere non solo le emozioni provate, la sofferenza e il panico di una vita strappata via in un istante, ma anche la noncuranza e la superficialità che molti hanno dimostrato nei confronti della situazione, impedendo alla quotidianità e normalità di tornare al più presto.
Un’altra cosa che ti ha colpito
Un’altra parte che ho apprezzato particolarmente, nonché la mia parte preferita nonostante fosse cupa e molto commovente, è il paragrafo che ha inizio con il discorso di Tarrou e che ha fine con la sua morte.
Nella pagina 271 possiamo conoscere maggiori dettagli sulla vita del personaggio, in quanto quest’ultimo decide di aprirsi con l’amico, il dottore Rieux, per fare conoscenza. Tarrou inizia il suo discorso presentando Rieux la sua infanzia ed i suoi genitori, in particolare il padre a cui era molto legato. Specifica da subito quanto lui si sia sempre sentito un impestato nella sua vita, quanto già prima che giungesse nella città di Orano, lui soffrisse la peste.
Racconta l’amico partendo dal principio, dal quanto stimasse il padre, al quanto successivamente se ne sia stato deluso. Di quanto provasse pietà della madre e di quanto quest’ultima fosse un tasto dolente per lui.
Racconta tutti gli uomini colpevoli che aveva dovuto incontrare, tutte le vite che si è visto spegnere davanti, ed il motivo per cui egli di conseguenza non potesse veder morire ulteriori persone.
Racconta quanto lui ambisca a raggiungere una nuova strada, quella che lui identifica come “la strada della pace” che si trova tra le due categorie di assassini e vittime.
Strada che sottolinea possa raggiungere solamente attraverso la compassione, verso se stesso. Compassione per colui che non ha avuto colpe, che ha tentato di salvare quante più vite possibili e per colui che è stato capace di perdonare ed amare.
Tarrou raggiunge la sua sconfitta definitiva, “quella che conclude le guerre e fa della pace stessa una sofferenza priva di guarigione”, nessuna pace sarebbe stata più possibile, per quell’uomo che in vita non ebbe mai conosciuto la speranza.
Una frase del libro da conservare
“Tante coppie e tante famiglie avevano infatti solo l’apparenza di semplici passanti. In realtà molti di loro compivano pellegrinaggi difficili nei luoghi in cui avevano sofferto”.
Commento su “La peste” di Irene Buscaglia