Una cosa che ti ha colpito
Commento n. 1 – Il ruolo della donna
Leggendo il romanzo La peste, di Albert Camus, non ho potuto fare a meno di notare i personaggi femminili, o, per essere più precisi, la loro assenza.
Partendo subito con un esempio, ecco TUTTI i personaggi femminili presenti nel romanzo:
- La madre di Rieux
- La moglie di Rieux
- La madre di Marcel e Louis
- La moglie del giudice Othon
- L’amata di Rambert
- La ex moglie di Grand
Sono tutte donne senza nome.
Non sono quindi importanti loro come donne, come esseri umani. Sono importanti loro nel ruolo che hanno nella vita di un uomo: è importante che siano madri, mogli o sorelle, indipendentemente dalle loro personali aspirazioni e sogni. Indipendentemente dal loro nome, dettaglio assolutamente irrilevante in un mondo di uomini.
È interessante vedere anche come siano tutte donne estremamente inutili: o sono malate (come nel caso della moglie di Rieux), o sono vecchie (come la madre di Rieux e quella di Marcel e Louis) o sono lontane (come l’amata di Rambert o l’ex moglie di Grand). Il loro ruolo è quindi quello di stare a casa ad aspettare l’eroico ritorno dei figli/mariti.
Tutto ciò non significa per forza che Camus fosse una persona maschilista, è semplicemente lo specchio dell’epoca in cui viveva, un’epoca dove le donne non erano medici, avvocati o architetti, erano madri e mogli.
E non sarebbero mai potute essere nulla di più.
Commento n. 2 – L’ateismo di Camus
Albert Camus non è mai stato un uomo religioso, anzi, lui stesso si definisce ateo (nonostante esprima una simpatia verso il cristianesimo alla fine della sua vita). Questa credenza si può trovare qualche volta anche nella sua opera capolavoro, La peste, e mi é sembrato opportuno commentarla.
Un esempio perfetto di ciò sarebbe la seguente citazione:
“Forse è meglio per dio se non crediamo in lui e lottiamo con ogni forza contro la morte, senza alzare gli occhi verso il cielo dove lui tace.”
Questa frase, pronunciata dal Dottor Rieux e provando quindi l’ateismo del personaggio, viene utilizzata in risposta al sermone di Padre Paneloux, il quale cercava in qualche modo di giustificare la morte dell’innocente figlio del giudice Othon.
L’ho trovata significativa dal momento che potrebbe esserci di insegnamento anche oggi: é naturale che, a seconda del proprio credo, si sia più propensi a pregare per una risoluzione magica delle difficoltà o meno; penso sia però necessario in un momento tragico come quello attuale farsi forza e non aspettarsi un intervento divino. Dobbiamo fare affidamento sulle nostre forze, sulla medicina e scienza al fine di risolvere le nostre difficoltà, perché, come dice Rieux, “Lui tace”.
Un’altra cosa che ti ha colpito
Commento n. 3 – I flagelli nei secoli
Come molte cose, anche le malattie sono evolute e cambiate col passare del tempo. La reazione degli uomini a suddetti flagelli, tuttavia, é rimasta pressoché la stessa.
Ecco, quindi, alcune delle similitudini (e differenze) che ho potuto rilevare tra La peste di Camus e l’epidemia che sconvolge le nostre vite oggigiorno.
La prima differenza fondamentale è che i cittadini di Orano si ritrovano fondamentalmente imprigionati dentro le mura della loro città. In caso di fuga (come progetta di fare Rambert), sarebbero liberi. Hanno quindi questa speranza di sfuggire alla peste fuggendo dalla città stessa.
Non possiamo dire lo stesso per noi cittadini del mondo nel 2021: dove vogliamo fuggire, quando la pandemia in questione è globale? Come possiamo sperare di metterci in salvo da questa malattia, quando quest’ultima ha invaso ogni angolo del pianeta con i suoi tentacoli velenosi?
Dove c’è gente, c’è malattia. L’unica soluzione é quindi quella di aspettare pazientemente, e sperare in una risoluzione alquanto fulminea.
“Se l’epidemia non si fermava da sé, non sarebbero state certo le misure prese dall’amministrazione a sconfiggerla.”
Questa citazione esprime un concetto che penso tutti riusciamo a comprendere. Del resto, è dall’inizio della pandemia che l’insicurezza nelle decisioni e la generale confusione rendono la situazione ancora più tragica. Da una parte, è normale che uno stato (o un comune, nel caso di Orano) si trovi in difficoltà a gestire una situazione critica come quella di un flagello, ma allo stesso tempo sono loro che dovrebbero avere tutte le risposte, che dovrebbero fornire soluzioni e guidare il popolo. E può essere estremamente frustrante se così non fosse.
“Anche il commercio era morto di peste.”
Questa è una delle incredibili somiglianze tra la peste di Orano e la pandemia globale che stiamo attualmente vivendo: i piccoli commercianti chiudono, derubati di clienti e guadagno, mentre il commercio online (che all’epoca non esisteva) fiorisce come non mai.
“Si può dire che la peste ci riguardò tutti […] Un sentimento privato quale la separazione da una persona amata divenne improvvisamente quello di un’intera popolazione.”
Questo é un altro esempio di citazione in cui ci ritroviamo, perché anche nel nostro caso la malattia é un flagello che abbiamo dovuto (e ancora dobbiamo) affrontare tutti insieme. Mentre il dolore é tendenzialmente un dolore personale, come può essere quello suscitato da un lutto o una separazione, il tipo di dolore portato da una pandemia é sempre condiviso.
Per dimostrare la mia tesi che l’uomo fondamentalmente non cambia, mi piacerebbe far riferimento ad un altro grande capolavoro, di un altro grande letterato: il Decameron di Boccaccio.
Una delle frasi che più mi ha colpito del Decameron é la seguente:
“Mai visti così tanti esperti di medicina autonominati come in quel momento.”
Si sta riferendo allo scoppio della peste, e a come tutti improvvisamente diventarono medici e scienziati. E penso sia la cosa più veritiera che io abbia letto ultimamente. Boccaccio, nel XIVesimo secolo riuscì a capire perfettamente come avrebbe reagito la mente umana. E quella stessa mente umana reagisce nello stesso identico modo secoli dopo.
Incredibile.
Una frase del libro da conservare
Commento n.4 – Tra guerre e flagelli
La peste, di Camus, ha un significato ben più profondo della semplice descrizione di una malattia che imperversa in una cittadina indifesa. Il vero flagello a cui si riferisce Camus é infatti la guerra.
Avendo vissuto durante un periodo pieno di conflitti, Camus non perde l’occasione di criticare i grandi regimi autoritari (come quelli di Hitler e Mussolini) e le grandi guerre paragonandoli ad una vera e propria malattia che porta a morte e separazione.
Nelle ultime frasi cogliamo appieno questo paragone e chiudiamo il libro sentendoci meravigliati da parole così potenti e veritiere:
“Ascoltando, infatti, i gridi d’allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell’allegria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice.”
Se devo essere sincera, sono rimasta esterrefatta di fronte questo finale così significativo, che lascia speranza, ma che é allo stesso tempo un duro avvertimento.