Orano, anni Quaranta del Novecento: una malattia estremamente contagiosa fa capolino sulla città algerina, ribaltando completamente i quotidiani equilibri della popolazione. La prima sensazione che ho provato durante la lettura del romanzo di Camus è stata quella di gelo: una similitudine impressionante con ciò che stiamo vivendo da un anno e mezzo a questa parte. Orano viene descritta come una cittadina anonima, spoglia, quasi insignificante. Sembra impossibile immaginare che una malattia come la peste possa abbattersi sui suoi abitanti, che conducono una vita monotona, ripetitiva e completamente dedicata al lavoro. All’inizio del racconto il protagonista Bernard Rieux, medico francese residente a Orano, narra in terza persona le vicende che si susseguono nella cittadina. Sarà proprio lui, insieme al collega Castel, a muovere l’ipotesi di un’epidemia di peste bubbonica: inizialmente i due medici non vengono creduti, nonostante i numerosi sintomi che si manifestano sui cittadini della città algerina, fino a quando diventerà impossibile negare l’evidenza. Inizia qui il vero e proprio fulcro della storia: Orano viene sigillata, le persone iniziano a chiudersi in casa e la preoccupazione da parte del governo francese cresce di giorno in giorno. Questo passaggio mi ha nuovamente ricordato quello che è accaduto in Italia nei mesi di febbraio/marzo 2020, quando l’epidemia (poi diventata pandemia) di Covid-19 ha iniziato a colpire gran parte del mondo. Come nella città di Orano, anche nel nostro Paese le persone hanno reagito in maniera differente: c’è chi non ha creduto alla pericolosità del virus e ha continuato la sua vita di tutti i giorni e chi, invece, è rimasto fortemente sconvolto dalla notizia e si è chiuso in casa. La stessa situazione si è verificata nella cittadina di Bernard Rieux, che ha reagito alla situazione con moltissime sfaccettature e diversità, tipiche dell’essere umano: ogni persona possiede una quotidianità, alla quale è più o meno disposto a rinunciare, senza rendersi conto, a volte, che è necessario per un bene superiore. Qui possiamo accorgerci dell’individualità di alcuni personaggi descritti da Camus, i quali non sono disposti a sacrificarsi per la collettività, ma, anzi, portano avanti un ideale poco condivisibile. Altri personaggi, invece, sono parte di una comunità ben sviluppata: Roeux, Castel e Tarrou dimostrano una cura per la peste bubbonica, la quale sta mutando in peste polmonare, molto più contagiosa e mortale. In un primo momento i loro sforzi saranno vani, la cura non funziona come sperato e le morti continuano a crescere in maniera esponenziale; la cittadina sembra ormai al collasso e gli abitanti sono in preda a un crollo psicologico dovuto alla situazione estremamente grave. Durante il corso del romanzo alcuni personaggi importanti perderanno la vita, ma alla fine verrà trovata la cura giusta e l’epidemia sembrerà giunta al capolinea, con un’ammonizione da parte di Bernard Rieux: è necessario prevenire eventuali situazioni simili future. La pandemia da Covid-19 ha fatto sì che la lettura del romanzo di Camus fosse abbastanza difficile, nonostante il linguaggio semplice e chiaro utilizzato dallo scrittore. Effettuare un parallelismo tra la cittadina di Orano e l’Italia è stato inevitabile: la situazione in cui ci troviamo ancora oggi è evidente e le similitudini sono innegabili. Anche l’atteggiamento dei personaggi mi ha ricordato qualcosa: molti di loro non hanno rinunciato alla vita quotidiana, fatta di colazioni al bar e pranzi al ristorante, passeggiate per le vie e spettacoli teatrali; altri, invece, si sono spaventati a tal punto da sigillarsi nelle loro abitazioni. All’inizio della pandemia da Covid-19 la situazione era pressoché identica, con schieramenti di persone che la pensavano (e la pensano ancora) in modo opposto. La speranza verso il futuro è quella di poter uscire dall’incubo in cui ci siamo ritrovati e di saper gettare un occhio critico su quello che avremo dovuto imparare da tutto questo.