La peste di Camus racconta il dilagare di un’epidemia a Orano, in Algeria, nel 1947.
Il romanzo dà una percezione corale e oggettiva della realtà, con un narratore segreto fino all’ultimo ed è impostato come una cronaca delle fasi dell’epidemia.
All’inizio si nega la peste, poi insieme alla consapevolezza arriva lo sconforto. Solo il medico Rieux, il protagonista, si accorge di quanto stava avvenendo. Egli istituisce delle squadre per la cura dei malati e allestisce ospedali improvvisati, insieme a Grand, a Cottard e a Tarrou, il quale tiene un taccuino fondamentale.
Gli abitanti di Orano, prigionieri, per la paura del contagio e della morte, si isolano dal resto del mondo e si rassegnano alla situazione. Ne è una prova il giornalista parigino Rambert, che cerca di evadere da Orano, ma poi aiuterà Rieux.
Camus tratta anche il divario tra ragione e religione con il personaggio di Paneloux, un uomo di fede e tendenze oscurantiste. Egli crede che la peste sia una punizione inflitta da Dio ai peccatori ed esorta ad affidarsi a Dio.
La figura di Rieux esprime invece i pensieri di Camus, ateo e anticlericale. Il dottore, scettico, era convinto che l’unica e vera virtù fosse la resistenza alla morte perciò non accetta la rassegnazione al Male. Il punto di incontro tra le due visioni è la solidarietà.
Castel, l’altro medico di Orano, sviluppa un siero contro la peste; si giunge così ad un finale pervaso da emozioni contrastanti. Da una parte domina il sollievo per la fine della pestilenza, dall’altro il timore di un ritorno improvviso.
Il morbo è l’allegoria per spiegare la sofferenza e il male derivati dai regimi totalitari del Novecento. La peste, infatti, regola i comportamenti, proprio come alcuni regimi opprimevano la popolazione.
Anche il lettore del presente è strettamente legato al romanzo: tutto gli è amaramente familiare. Oggi, il mondo non ha ancora sconfitto il Covid-19, ma si presume che il segno che esso lascerà sarà indelebile, così come è stato quello della peste.