“L’isola di Arturo” di Elsa Morante è un romanzo di formazione nel quale il protagonista è appunto Arturo, un ragazzo orfano di madre, che vive sull’isola di Procida. La madre morì durante il parto mentre il padre Wilhelm non si occupò mai di lui, abbandonandolo, anche per mesi, sull’isola da solo. Solamente il balio Silvestro lo curò e si occupò di nutrirlo con il latte di capra, elemento che contribuisce a rendere mitica la vicenda del ragazzo sull’isola, riecheggiando la storia dell’infanzia di Zeus narrata da Ovidio nei “Fasti” (5.111 e segg. ).
Come nel mito, infatti, padre di Arturo è un uomo misogino e anaffettivo che in più di un’occasione respinge persino la nuova moglie Nunziata e nemmeno una volta cerca di dimostrare il proprio amore al figlio. Arturo in più di un’occasione ricorda di non aver mai ricevuto un bacio o una carezza da nessuno, in particolare dal padre. È nell’espressione di questi pensieri e nella spasmodica ricerca di attenzioni paterne che sembra evidente che il ragazzo abbia sofferto molto per la mancanza d’amore durante l’infanzia.
Nonostante tutto ciò Arturo prova una grandissima ammirazione nei confronti del padre considerandolo quasi come un Dio. Il ragazzo spiega che non voleva ricevere insegnamenti da lui, ma dedicargli la sua fede, e desiderava, un giorno, ricevere una ricompensa per la sua venerazione.
Per questo, nelle lunghe assenze del genitore aspettava impaziente il suo ritorno, trascorrendo le giornate nella speranza di vederlo scendere dal piroscafo proveniente da Napoli e considerava estremamente prezioso ogni secondo che trascorreva con lui vedendolo come una fonte d’ispirazione e cercando in tutti modi di guadagnarsi il suo rispetto e amore.
Con il passare degli anni, però, Arturo si rende conto che il padre non era perfetto come pensava e che in realtà lui non lo conosceva. Wilhelm Gerace, infatti, oltre a non avere alcuna considerazione per il figlio, si divertiva a maltrattare la moglie Nunziata trattandola costantemente in maniera scortese. Arturo dapprincipio non sembrava apprezzare particolarmente Nunziata (è ancora un ragazzo immaturo che spesso, senza motivo apparente, si dimostra scortese e irrispettoso nei confronti della matrigna), ma quando il padre maltrattava la donna o si prendeva gioco di lei dicendole delle bugie per spaventarla Arturo dentro di sé la difendeva non riuscendo del tutto a comprendere le ragioni dell’atteggiamento dell’uomo. Una volta Wilhelm disse ad Arturo che tutte le donne, Nunziata compresa, sono brutte, ripetendo ciò che il suo amico, l’Amalfitano, diceva, chiedendo poi al ragazzo cosa pensasse della moglie. Ma in quell’occasione, nonostante l’ammirazione nei confronti del padre e la percezione che cercasse la sua approvazione, Arturo afferma che in realtà secondo lui Nunziata non era brutta; questo dimostra che il ragazzo era ormai in grado di ammettere, almeno in parte, che il padre non era perfetto come credeva da bambino e mostra come, nonostante Arturo abbia condotto una vita solitaria e priva d’amore, non era cattivo come lui, ma era in grado di provare talvolta compassione e affetto per chi lo circondava.
Con il tempo Arturo capisce di non ammirare più così tanto il padre che non si interessava mai di lui e che raramente cercava di passare del tempo in sua compagnia. Comincia così a pensare di abbandonare l’isola e a rinunciare all’immagine mitica che aveva di lui.
Il momento in cui questa decisione giunge a maturazione è quando Arturo scopre dell’attrazione omossessuale del padre per il carcerato Tonino Stella: capisce finalmente di non conoscerlo e spinto dal dolore decide di fuggire abbandonando l’isola per sempre.