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Nella pagina 144 si legge questo:
“Le Dio era una città della Francia e, nel 1942, della soldataglia americana feroce e stanca stava cercando di riprendersela dai nazisti (questo accadeva due anni prima che scoprissi che gli Alleati erano sbarcati in Francia solo nel 1944). Erano lì che cercavano di riconquistarla, combattendo strada per strada, il tutto descritto in circa quaranta racconti che scrissi fra i nove e i quattordici anni. Teddy andava assolutamente pazzo per le storie di Le Dio, e credo di aver scritto le ultime dieci o giù di li esclusivamente per lui – a quel punto, sinceramente ero stufo di le Dio e di scrivere roba tipo Mon Dieu e Cherchex le Boche! e Fermez la porte! Nella città di Le Dio, i contadini francesi sibilavano in continuazione alla soldataglia americana di Fermez la porte! ma, a ogni nuovo racconto, Teddy s’incurvava sulle pagine, gli occhi grandi, la fronte imperlata di sudore, una smorfia sul viso. A volte mi sembrava quasi di sentire le Browning raffreddate ad aria e gli 88 che fischiavano proiettili dentro il suo cervello. L’ansia con cui mi chiedeva sempre nuove storie di Le Dio era al tempo stesso lusinghiera e inquietante.”
Stephen King in seguito fa la sua introduzione alla storia delle torte, invece questo racconto introduce la storia e fa riflettere sul rapporto con i loro genitori:
«Ehi, Gordie, scriverai altre storie su Le Dio?»
Teddy parlava senza guardarmi, con la voce un po’ strozzata dall’aria umida della foresta. Aveva gli occhiali storti e un taglio sul ginocchio da quando era inciampato tra le radici di un albero. Si passò la manica della maglietta sulla fronte sudata e poi mi guardò di lato, con un mezzo sorriso.
«Mi piace quella roba.»
«Sì?»
Annuii, anche se in realtà ne avevo abbastanza di Le Dio, delle battaglie, dei proiettili che fischiavano tra le rovine e dei contadini francesi che gridavano “Fermez la porte!” come se quello fosse l’unico francese che sapevano dire. Ma Teddy aspettava una risposta e io sapevo che, per lui, quella domanda significava qualcosa di più.
«Quella dell’assalto alla cattedrale è stata figa,» disse lui.
«Mio padre diceva che i nazisti si nascondevano sempre nei posti sacri. Li stanavano con i lanciafiamme.» Non sapevo cosa rispondere. Le storie di Le Dio erano nate per gioco, per riempire il tempo, ma per Teddy erano qualcosa di diverso. Qualcosa di vero. Forse, quando leggeva di quei soldati americani che combattevano strada per strada, vedeva suo padre lì in mezzo, con un fucile in mano e una sigaretta tra le labbra, proprio come nelle storie che ci raccontava. Storie in cui era un eroe.
«Dev’essere stato tosto, tuo padre,» dissi. Teddy si illuminò, come se avesse ricevuto un complimento personale.
«Lo era. Era in Normandia. Mio padre ha visto cose che tu nemmeno immagini.» Lo disse con una specie di orgoglio, ma anche con un’ombra di rabbia. Mi chiesi se ricordasse quando suo padre lo aveva picchiato così forte da quasi staccargli un orecchio. Ma Teddy non pensava mai a quelle cose. Pensava a quando suo padre era giovane, forte e pieno di medaglie.
«Già,» dissi, e per un po’ rimanemmo in silenzio, ascoltando il frinire delle cicale.
«Dai, raccontamene una,» insistette Teddy, e stavolta c’era qualcosa nella sua voce. Non solo curiosità, ma bisogno. Come se avesse bisogno di sentirla per crederci ancora. Inspirai e mi lasciai cadere a terra, con la schiena contro un tronco. «Va bene. Te ne racconto una.»
Teddy si accovacciò subito davanti a me, gli occhi spalancati, mentre io cercavo nella testa qualcosa che non fosse troppo simile alle altre. Alla fine mi venne in mente una storia che non avevo mai scritto, solo pensata. «Questa parla di un soldato che non aveva un nome,» iniziai. «I suoi compagni lo chiamavano Ombra, perché nessuno lo vedeva mai. Si muoveva di notte, tra le rovine, con la faccia dipinta di nero e una pistola silenziata. Dicevano che fosse uno di quelli che gli alti comandi mandavano a fare il lavoro sporco.» Teddy annuì, già completamente immerso. «Una notte, l’Ombra ricevette un ordine. Doveva attraversare Le Dio e infiltrarsi in un vecchio teatro dove si nascondeva un ufficiale tedesco. Lo trovò lì, solo, con una pistola sul tavolo e una bottiglia di whisky in mano. L’Ombra puntò l’arma, pronto a premere il grilletto.» Feci una pausa, guardando Teddy. «Ma poi l’ufficiale parlò.»
«Cosa disse?»
«Gli disse che la guerra era già persa. Che tutti i suoi uomini erano morti e che lui, quella notte, aveva deciso di non scappare. Gli disse che sarebbe rimasto lì fino alla fine, anche se sapeva che sarebbe morto. L’Ombra rimase fermo, con la pistola ancora puntata. Poi abbassò il braccio e si girò. Non disse niente, non fece niente. Solo se ne andò.»
Teddy rimase in silenzio per un attimo. Poi scosse la testa. «Non l’ha ucciso?»
«No.»
«Stronzate,» disse. Ma la sua voce era più bassa. Non aggiunse altro, e io seppi che stava pensando a suo padre. Al fatto che la guerra lo aveva distrutto, ma non ucciso. Al fatto che era tornato a casa, ma non era più stato un eroe.
«E il tuo vecchio?» chiese poi Teddy. «Che dice delle tue storie?»
Mi strinsi nelle spalle. «A lui non importa.» Teddy arricciò il naso.
«Non gliene frega?»
«No.» Non mi guardò, ma capii che stava cercando una spiegazione, qualcosa che rendesse quella risposta meno assurda. Io ce l’avevo, ma non mi piaceva dirla ad alta voce. Mio padre non si curava di me perché aveva avuto già tutto con Denny. Denny era il figlio giusto, il figlio perfetto. Io ero solo un riflesso sbiadito, qualcosa che veniva dopo, che si prendeva gli avanzi. Così come Teddy metteva suo padre sopra di sé, trasformandolo in un uomo che la guerra aveva distrutto, io mettevo me stesso sotto mio padre, accettando di essere la versione difettosa di mio fratello.
«Forse è solo che non capisce niente di racconti,» disse Teddy alla fine, come se volesse aggiustare la cosa. Finsi di sorridere.
«Forse.» Ma dentro di me, sapevo che non era vero. Mio padre capiva benissimo. Semplicemente, non gli interessava. Teddy sputò a terra, allontanando quei pensieri come faceva sempre.
«Comunque, mi racconti una storia? Una che non sia di Le Dio.» Pensai un attimo, poi mi venne in mente qualcosa di completamente diverso. Una storia assurda, stupida, che avrebbe fatto ridere tutti.
«Va bene,» dissi. «Questa parla di un ragazzo che voleva diventare il re dei mangiatori di torte.» E mentre iniziavo, vidi Teddy rilassarsi, con un sorriso da matto che gli si allargava sulla faccia. Forse, almeno per un po’, potevamo essere solo ragazzi in una foresta. Senza padri. Senza pesi sulle spalle. Solo noi e una storia.