Valutazione: 💗💗💗💗
Come può un libro scritto nel secondo dopoguerra e precisamente nel 1947, essere così attuale tale da sembrare essere appena stato pubblicato? È questo il caso de La peste di Albert Camus che mi sono trovata a leggere quest’estate, come compito delle vacanze, e che probabilmente non avrei scelto tra le mie letture se non mi fosse stato assegnato. Inizialmente, infatti, il compito assegnato non mi convinceva; dopo un anno e mezzo di emergenza sanitaria, dopo aver contratto in prima persona il Covid 19, pensavo che affrontare l‘argomento trattato dall’autore sarebbe stato estremamente toccante e difficile. In realtà, probabilmente anche grazie allo stile dello scrittore e alle sue scelte letterarie, sin dalle prime pagine, ne ho apprezzato il contenuto.
👍 Un primo punto di forza da rilevare è, a mio avviso, proprio lo stile adottato da Camus; ho apprezzato il suo stile accurato che rende realistica la storia senza però perdersi in tecnicismi che mi sarei aspettata dal momento che la narrazione è stata affidata ad un medico, il dottor Rieux. Ciò che più ha reso agile la lettura, secondo me, è stata proprio la capacità dell’autore di scrivere in maniera oggettiva, diretta, schietta, non perdendosi in melodrammi sulla situazione ma allo stesso tempo, non riservandosi dal descrivere le situazioni più brutali come ad esempio, la parte riguardante l’agonia del figlio del giudice Othon, tragicamente morto per la peste. La sua schiettezza mi ha permesso di affrontare la lettura senza quel senso di angoscia che mi sarei aspettata ma mi ha consentito comunque di percepire la gravità della situazione presentata. Inoltre, una scelta molto saggia dell’autore, sempre in merito alla forma, è stata quella di prediligere le parti descrittive e riflessive alle sole parti narrative; queste lunghe riflessioni in merito agli stati d’animo dei protagonisti e degli abitanti di Orano mi hanno portato a fare molti raffronti con la situazione pandemica in corso e ad immedesimarmi nei personaggi come probabilmente non sarei riuscita a fare solamente assistendo a una semplice narrazione dei fatti. Un altro strumento molto potente usato dall’autore è quello dei dialoghi tra i personaggi principali grazie ai quali è riuscito ad affrontare tematiche importanti quali, ad esempio, la questione della religione, dell’eroismo, dell’onestà e del male.
👍 Un secondo punto di forza che è bene evidenziare è il grande spazio che l’autore ha lasciato alla descrizione dei personaggi che non sono descritti soltanto per il loro ruolo nella guerra contro la malattia ma anche nella loro sfera privata. Ho apprezzato, ad esempio, il fatto di aggiungere dettagli come quello di Grand intento alla scrittura del suo libro, come quello del tentato suicido di Cottard e del suo atteggiamento da contrabbandiere o ancora come quello di spiegare il complesso stato d’animo del giornalista Rambert e la sua lontananza della moglie. Questa scelta, a mio parere, è stata saggia perché ha alleggerito il tutto e ha, anche se solo indirettamente, fatto comprendere che nonostante l’arrivo della peste, la vita dei protagonisti è continuata.
👎Un primo punto debole, invece, è la mancanza di caratterizzazione del protagonista, del dottor Rieux. Avrei apprezzato se l’autore avesse aggiunto qualche dettaglio della sua vita, qualche corrispondenza con la moglie malata confinata in un’altra città, qualche dialogo con l’anziana madre. Il medico, ad eccezione di alcune piccole parti in cui ha mostrato segni di cedimento e dolore come alla fine del romanzo una volta venuto a conoscenza della morte della moglie e di quella dell’amico Tarrou, si è sempre mostrato forte o, quantomeno, Camus non ha mai dedicato molto spazio alla sua debolezza; si tratta di un personaggio stimabile per il suo comportamento, per il fatto di essersi comportato in maniera onesta continuando ad esercitare la sua professione e ad impegnarsi nella lotta contro la peste nonostante la difficile situazione famigliare però, forse, a mio parere, se Camus avesse evidenziato di più le sue debolezze sarebbe stato un modello comportamentale ancora più completo.
👎Un altro aspetto negativo che non ho potuto fare a meno di constatare è la totale mancanza di figure femminili; nel corso del romanzo, sono solo tre le figure femminili presenti, si hanno le mogli di Rieux e Rambert che vengono solo nominate e poi si ha la madre di Rieux con cui il figlio condivide solo poco tempo, pochi sguardi, pochi gesti senza scambiare veri discorsi ed opinioni. Non viene fatto cenno a nessuna figura femminile in prima linea come invece sono Rieux e i suoi compagni; le uniche donne presenti sono mogli di, madri di, sono tutte figure subordinate ad un uomo. Sicuramente, con l’aggiunta di un medico donna o semplicemente di una volontaria come lo sono Grand, Tarrou e Rambert, il romanzo sarebbe stato più completo e, probabilmente, più apprezzato anche dal pubblico femminile che avrebbe potuto immedesimarsi meglio nella storia. Questa assenza è giustificabile dal periodo in cui è stato scritto, soltanto nel 1947, e anche dal fatto che il messaggio da dare era un altro; lo scopo di Camus, infatti, era mostrare il comportamento degli uomini di fronte alla peste dando un messaggio di speranza e solidarietà tra gli uomini come solo mezzo per salvarsi dal flagello e paragonando implicitamente la peste alle grandi guerre.
In conclusione, consiglio vivamente a tutti di non fermarsi alle apparenze, di non lasciarsi influenzare dalle prime impressioni destate solamente dal titolo o dalla copertina e di non rinunciare alla lettura di questo libro solo perché ci si sente inadeguati o impreparati psicologicamente. Anzi, credo che non ci sia occasione migliore che leggerlo in questo periodo di pandemia. Il mio suggerimento è quello di buttarsi nella lettura; poi, starà ad ognuno farsi la propria idea, trarre le proprie conclusioni ed essere influenzato in base anche alla propria esperienza personale di convivenza con il Covid. Sebbene questa circostanza sia frequente, questo libro è praticamente l’unico che, grazie all’andamento più riflessivo che narrativo, mi ha concesso di riflettere di più sulla mia condizione senza che fosse necessario affidarmi a postfazioni, commenti ed interpretazioni che mi aiutassero in tal senso. In mia opinione, quindi, ciò che è affascinante in quest’opera, più che la trama o le intenzioni implicite dell’autore, è proprio la nostra tendenza a far emergere il nostro punto di vista e la nostra capacità di immedesimarci.