Il racconto e la descrizione della peste da parte degli scrittori è diventato un vero e proprio topos letterario. Il primo libro dell’ “Iliade” di Omero si apre con la descrizione degli effetti devastanti della peste, considerata come una punizione divina. Il dio Apollo ha scatenato una pestilenza nel campo degli Achei in seguito all’offesa subita dal suo sacerdote, Crise, che voleva riscattare la figlia, Criseide, catturata e resa schiava dagli Achei; ma Crise era stato respinto in modo arrogante da Agamennone, che considerava Criseide suo dono di guerra. Anche nella tragedia “Edipo Re” di Sofocle si individua la causa della peste nell’ira degli dèi. Edipo è figlio di Laio e della sua sposa Giocasta. L’oracolo di Delfi rivela a Laio che il figlio avuto da Giocasta, divenuto grande, lo ucciderà, perciò Laio consegna Edipo a un pastore, che avrà il compito di abbandonare il bambino in fasce sulla vetta del monte Citerone. Ma Edipo viene trovato e cresciuto da Polibo, re di Corinto, e da sua moglie Peribea. Quando è pù grande Edipo viene a sapere da un ospite della casa che lui non è l’erede al trono e per saperne di più si rivolge all’oracolo di Delfi, che gli predice che ucciderà suo padre e sposerà la madre. Per impedire che ciò accada, Edipo abbandona Corinto e si dirige verso Tebe. Lungo la strada incontra un carro guidato da un uomo che non lo lascia passare. I due incominciano a litigare e la lite sfocia nell’uccisione di Laio. In seguito Edipo sposa Giocasta e diventa re di Tebe, quando, improvvisamente, dopo 15 anni, scoppia una terribile pestilenza e per porvi fine bisognerà cacciare dalla città l’uccisore di Laio, che si scoprirà essere Edipo stesso.
Lo storico greco Tucidide (V sec. a.C.), nella sua opera “La guerra del Peloponneso” ci racconta dell’epidemia di peste che si diffuse ad Atene all’inizio del secondo anno di guerra. Egli inserisce una descrizione ampia e articolata destinata a diventare un modello di riferimento per gli altri scrittori, compreso Boccaccio. Tucidide ci riferisce che i medici non sapevano come affrontare questa malattia sconosciuta ed erano i medici stessi a morire, perché erano maggiormente a contatto con gli ammalati. La peste di Atene raccontata da Tucidide sarà ripresa dal poeta latino Lucrezio nella sua opera filosofica “De rerum natura”, in cui egli, basandosi sugli insegnamenti di Epicuro, vuole dimostrare che la peste non è una vendetta degli dèi, ma ha cause naturali, giustificabili scientificamente.
Anche Virgilio ci parla della peste nelle “Georgiche”. La malattia aveva colpito gli animali nel Norico e l’autore si chiede il perché di tanta sofferenza, non provocata da eventuali colpe attribuibili agli uomini.
Il narratore settecentesco inglese Daniel Defoe nel suo romanzo si sofferma sulla peste di Londra del 1665, che causò un gran numero di vittime. Manzoni, autore ottocentesco, descrive la peste di Milano ne “I promessi sposi”. Si credeva che la malattia dipendesse da untori che la diffondevano mediante unguenti e polveri. Una delle descrizioni più famose dell’opera manzoniana è quella di una giovane madre che porta in braccio il cadavere della sua bambina di circa nove anni. L’aspetto della donna lascia trasparire “una bellezza velata e offuscata”, poiché risulta evidente che ha versato molte lacrime e che ha già su di sè i segni del contagio. Un monatto si avvicina alla donna per prendere il cadavere della bambina, ma la donna si ritrae e chiede all’uomo di poter adagiare lei stessa la bambina sul carro. Le dà un bacio e, mettendo poi un velo bianco su di lei, le dice addio.
Infine, anche Albert Camus, scrittore francese, nel suo libro “La peste” descrive la malattia. Egli la considera come male della società e del mondo. Melissa Giovine III B Liceo Classico “Simone Morea”