La peste è stato un libro molto interessante e coinvolgente. Sono stata attratta soprattutto dal contenuto, che va a riflettere la situazione che noi oggi stiamo vivendo con la pandemia di Covid-19. Ho pensato molto alla nostra situazione ma non l’avevo mai comparata con quella di altre epidemie passate, e leggendo mi sono resa conto della grande difficoltà che un’epidemia, soprattutto del passato, può provocare. Prima non c’erano grandi possibilità, inoltre l’assenza di una
cura, data la scarsità di medicine in quel periodo, avrebbe cancellato le speranze di ognuno di noi. Le persone si aggrappavano a delle credenze: “l’alcool uccide i microbi”, la religione, insomma si andavano ad aggrappare a quella piccola speranza che era in loro. Noi invece grazie alla tecnologia di oggi, nonostante la moltitudine di morti, stiamo cercando di trovare una cura per questa disgrazia e ora ne stiamo uscendo, ma la paura rimarrà per molto tempo. Una frase del libro mi ha colpita molto per il suo significato: “In realtà, tutto per loro diventava presente. Sì, bisogna proprio dirlo, la peste aveva tolto a tutti la disposizione all’amore e all’amicizia. Poiché l’amore richiede un po’ di futuro, e per noi ormai c’erano solo istanti” (pag. 208).
In una pandemia, come ben mi sono accorta, c’è moltissima sofferenza per la perdita di familiari, amici, compagni e tutto questo male ha annebbiato quelli che sono i sentimenti più belli: l’amore e l’amicizia, in quanto ormai l’unica cosa a cui si pensa è l’attimo, perché non si può mai sapere cosa ci spetta l’indomani in una simile situazione. Infatti, tutto si inizia a guardare con occhi diversi, si apprezza ciò che si ha intorno, soprattutto le piccole cose. Le circostanze ci hanno fatto cambiare, ma soprattutto riflettere. In prima persona, mi sono sentita impotente e piccola, perché sapevo di non poter far nulla per aiutare. Spesso mi domandavo: e se tutto ciò non fosse accaduto? Come sarebbe oggi il mondo? E le persone? Sicuramente non avrei passato gli anni più belli della mia adolescenza a casa, ma, al tempo stesso, questa pandemia ci ha insegnato e ricordato molti valori della vita, che nel corso degli anni erano andati persi o erano stati dimenticati; ho vissuto, infatti, delle personali situazioni che mi hanno fatto capire cosa vuol dire amare e tenere veramente a qualcuno. Tutta questa sofferenza e agonia, che si rispecchia anche nel racconto di Camus, ci fa sentire piccoli di fronte ad un grande male, ma bisogna dire che di fronte a tanta oscurità, c’è uno spicchio di luce che emerge, e questo lo si nota dal cambiamento e dalle decisioni che molti personaggi del libro inaspettatamente prendono per fare del bene e aiutare il prossimo: come la figura di Raymond Rambert, il giornalista, che viene mandato a Orano per condurre un’inchiesta, per conto di un quotidiano parigino, riguardo le condizioni di vita del posto. Questi si ritrova in trappola nella cittadina a causa del morbo e, spazientito, cerca di corrompere le guardie per ritornare dalla sua amata, che era a Parigi. Ma, nonostante abbia la possibilità di ritornare, decide di rimanere ad aiutare quella povera città. Quello di Rambert è un gesto nobile, invece di pensare a sé stesso pensa al bene altrui, difatti aiuta molte persone a lui sconosciute. Il personaggio di Rambert incarna il dilemma morale tra perseguimento della felicità individuale e del benessere collettivo, richiamando la figura di Socrate, che accetta la condanna a morte e non preferisce scappare, sacrificando la propria salvezza per il rispetto delle leggi. Egli afferma infatti, nel Gorgia di Platone, che “è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla”; infatti, accettando il suo destino dimostra di non temere la fine, perché si trova nel giusto. Lo stesso fece Rambert, accettando la sua situazione. Nonostante ci sembri un’azione di poco valore in realtà è una scelta ardua da compiere perché si deve scegliere tra i propri affetti voltando però le spalle a tutti coloro che stanno soffrendo e abbandonare i propri affetti con l’incertezza di rivederli e rimanere a combattere la malattia.
Personalmente, mi sarei trovata in grande difficoltà ad affrontare una tale scelta etica perché da un lato avrei dovuto convivere con il senso di colpa per non aver aiutato gli altri nel momento del bisogno e dall’altro avrei tolto la possibilità ai miei cari di rivedermi nel caso fossi stata colpita dal morbo. Per me questa scelta rimane un dilemma morale insoluto, in quanto non essendomici mai trovata realmente di fronte, non riuscirei a dare una risposta certa né facile. Pertanto rimane aperta a tutti questa domanda su cui interrogarci: cosa farebbe ognuno di noi se si trovasse in un bivio senza uscita, in cui in ogni caso si perde qualcosa e si fa del male a qualcuno? Quello che mi sento di dire è che sicuramente non c’è una risposta giusta e una risposta sbagliata. Tornando al gesto di Rambert, anche se ciò che è stato descritto nel libro non è un accadimento reale, rispecchia ciò che è avvenuto al giorno d’oggi, nel momento della pandemia: molti dottori in pensione sono intervenuti in aiuto dei pazienti malati o molti altri come volontari si sono sempre resi disponibili ad aiutare, nonostante rischiassero la vita; sono piccoli gesti che hanno aiutato, soprattutto in fase di difficoltà. Sono queste azioni che mi hanno suscitato speranza di un nuovo inizio e di una nuova “era”. Dico questo perché prima della pandemia si stavano perdendo molti valori come l’amicizia, l’interazione sociale, l’umanità, a causa dell’incessante uso del telefono e delle nuove tecnologie che ci hanno fatto chiudere dal punto di vista sociale, soprattutto a noi ragazzi; io me ne sono accorta con i miei amici, capitava che quando uscivamo per stare insieme, ci isolavamo e non c’era interazione. Ora invece, dopo questo lungo periodo, che è servito a tutti per farci aprire gli occhi, siamo molto più aperti, espansivi e uniti, e abbiamo avuto la possibilità anche di parlarne tutti insieme discutendo su questa circostanza. In questo senso, dal punto di vista psicologico ci ha aiutati. Star chiusi per molto tempo a casa, con la paura e il terrore che un genitore tornasse dal lavoro malato, vedere tutti i giorni al TG casi di persone morte, sentirci dire che continuerà per molto tempo, che non possiamo uscire, tutto questo ci ha lasciato un segno, che ci porteremo per tutta la vita.
Jessica Proietti